Francesca Pozzan: formatrice per travel designer

Una travel designer ha il potere di plasmare i sogni in un viaggio scandito dal nostro battito cardiaco. Ma una definizione non basta a raccontarci una persona e il suo percorso come professionista.

La nostra intervistata, è vero, realizza quello che potrebbe essere un tuo desiderio di viaggio. Ma solo perché prima ha scelto il sentiero della pazienza e si è data il tempo di ascoltarsi. Nei suoi itinerari guida passo passo il nostro coraggio, ma soltanto perché un giorno ha preso di petto i suoi problemi rivoluzionando la sua vita. E così facendo ti aiuta a riconciliarti con ciò che ti circonda e che, se lo ignori troppo a lungo, ti impedisce di rimetterti al centro del tuo viaggio personale. Questo vivere.

Forse siamo finiti un bel po’ oltre il semplice travel design. Ma non ne avevamo dubbi. Perché Francesca Pozzan è una viaggiatrice nel modo più temerario che esista. Come coloro che un bel giorno hanno avuto il coraggio di mettersi passo dopo passo in cammino verso i loro desideri.

1. Francesca, in due parole: chi sei? Dove ti trovi attualmente e in cosa consiste la tua attività?

Sono Francesca, sognatrice incallita, inguaribile curiosa (della vita!), mentalmente frizzante e leggermente allergica alla noia. 😉

In questo momento mi trovo a casa, a Schio in provincia di Vicenza; sarei dovuta essere in Indonesia, ma la pandemia ha fatto posticipare la partenza. 

Sono nel mondo dei viaggi da 13 anni, attualmente mi occupo di formazione per aspiranti travel designer e di consulenze per professionisti del turismo, tutto rigorosamente online (ma dal vivo, nulla di registrato). Allo stesso tempo collaboro con diversi tour operator italiani e stranieri aiutandoli nell’ampliamento delle loro proposte di viaggio.

2. Cosa ti ha spinto a diventare nomade digitale e qual è il percorso che ti ha portato fin qui?

Come ho detto prima, la vita mi affascina e mi incuriosisce parecchio in tutte le sue forme e sfaccettature. Ho lavorato come dipendente di un tour operator per 10 anni durante i quali ho svolto diverse mansioni che mi hanno permesso di formarmi e di divenire la professionista che sono.

Gli ultimi anni in azienda li ho vissuti con sofferenza: mi sembrava che l’ufficio mi soffocasse, che la vita mi stesse scappando di mano, non riuscivo a capacitarmi del perché un lavoro come quello del travel designer dovesse sottostare per forza alle rigide regole dell’ufficio e del sistema lavorativo italiano.

Guardavo con estrema ammirazione ed un pizzico di invidia i primi nomadi digitali italiani e sognavo di diventare come loro.

Ad un certo punto… sbam! Il risveglio. Non stavo sognando di andare sulla Luna, stavo sognando di riprendere in mano la mia vita e di realizzare il mio sogno di libertà!

Nell’estate del 2017, un bel giorno, senza dire nulla a nessuno dei miei cari per paura del giudizio (sono cresciuta nel “ricco” Nordest in cui il dio lavoro e il dio posto-fisso-a-tempo-indeterminato la fanno da padrone), ho rassegnato le mie dimissioni e sono entrata nel mondo dei freelance e dei nomadi digitali. Non senza poche difficoltà, ma sempre con estrema soddisfazione per avere ripreso finalmente a vivere in modo consapevole e presente, non più lobotomizzata.

3. Qual è stato l’ostacolo maggiore che hai dovuto affrontare e come lo hai superato?

Il mondo del turismo in Italia ha scoperto lo smart working solo quest’anno, grazie alla pandemia

All’inizio ho passato dei mesi a girare l’Italia in lungo e in largo per propormi come travel designer da remoto a diversi tour operator e non è stato facile: la maggior parte di loro non concepiva l’idea di non avermi in azienda, mi guardavano come se stessi rubando qualcosa. 

Ben venga la tua Partita IVA (e ti credo, fa risparmiare un sacco)!, ma se non vieni in ufficio e se non rispetti gli orari d’ufficio non ti vogliamo.

Non mi sono persa d’animo e ho continuato imperterrita a cercare collaborazioni ponendo come conditio sine qua non la possibilità di lavorare da remoto e la libertà di orario e ho trovato dei titolari di tour operator “illuminati”, grazie ai quali ho iniziato a lavorare raggiungendo quindi i miei obiettivi.

E poi la paura di fallire, ma non tanto per il fallimento in sé (mi sono reinventata parecchie volte nella mia vita, sono molto flessibile e adattabile e ho parecchi assi nella manica), ma soprattutto per il giudizio degli altri.

L’ho superato facendo un gran lavoro di comprensione di me stessa, di crescita personale (che non è ancora terminato e mai terminerà) che mi ha portata a volermi bene e a rispettarmi smettendo di preoccuparmi per quello che pensano gli altri (sono ancora work in progress, eh! Fosse così facile).

La vita è nostra, nel momento in cui non facciamo del male a nessuno, nessuno ci può venire a fare i conti in tasca. Inoltre non potremo mai piacere a tutti e ci sarà sempre qualcuno che avrà qualcosa da ridire, per cui sempre avanti e… peace!

4. Elenca tre pro e tre contro dell’essere nomade digitale. 

PRO

  1. libertà di poter decidere dove, come e quando lavorare;
  2. libertà di poter decidere con chi e per chi lavorare;
  3. l’immenso capitale umano con il quale sono venuta in contatto da quando sono nomade digitale… mi si è aperto un mondo fatto di persone meravigliose!

CONTRO

  1. vivere costantemente sulle montagne russe per gli up & down emotivi ed economici;
  2. non avere orari e quindi rischiare di non staccare dal computer;
  3. il fatto di doversi guadagnare la pagnotta ti porta a non staccare mai mentalmente e quindi ad essere sempre al lavoro, anche se distanti dal computer.

5. Cosa significa per te essere nomade digitale? Qual è il tuo stile di vita, la filosofia esistenziale che ti accompagna nel tuo nomadismo?

Poter decidere. Anche di uscire dai momenti down delle montagne russe che ho citato prima, posso decidere di fermarmi (di fermare soprattutto la mia testa) e di fare qualcosa che mi faccia uscire dal loop: ci vuole impegno, ci vuole dedizione e ci vuole amore nei confronti di noi stessi, ma alla fine è tutto in mano nostra.
Ed è questo il nocciolo di tutta la questione.

6. Parliamo di comfort zone. Se potessi insultarla, maltrattarla o sbeffeggiarla (anche simpaticamente) usando 3 parole per descriverla, quali sarebbero?

Non mi va di sbeffeggiarla, sai? È proprio grazie a lei, per averla vissuta per un po’ di anni e per avere visto che su di me non è poi così tanto comfort che ho deciso di stravolgere tutto. Quindi grazie comfort zone! 

7. Pensi che l’essere nomade digitale possa avere un’influenza sulla nostra società?

Essere nomade digitale rimette al centro le persone: non dai la tua vita lavorando per l’arricchimento e l’accrescimento dell’ego di qualcun altro, non devi spiegare nulla a nessuno, non devi sottostare a quelle dinamiche di competizione subdole che si mettono in atto in qualsiasi ambiente lavorativo del mondo dove ci siano un capo e dei sottoposti e che vanno a minare l’autostima e la bellezza di qualsiasi persona.

Quando lavoravo in ufficio passavo 40 ore al mese in auto solo per andare e tornare a casa. Ora la uso il meno possibile e solo per lo stretto necessario… se lavorassimo tutti in smart working, senza dover muovere la macchina ogni giorno, quanto meno inquinamento ci sarebbe a questo mondo (e quanto meno stress da traffico)? 

8. Nel futuro ti vedi ancora nomade o pensi che vorrai stabilire il tuo nido da qualche parte?

Penso che il nomadismo sia uno state of mind: nomade una volta, nomade per sempre (anche se fermo in un luogo fisico preciso).

9. Qual è il consiglio più prezioso che daresti a chi vuole intraprendere la tua strada o professione?

Prima di tutto direi di formarsi perché organizzare viaggi non è un gioco: la persona che ci contatta sta mettendo in mano nostra una parte significativa di un periodo della sua vita.

Magari ha a disposizione solo un paio di settimane all’anno per viaggiare e sceglie noi, non possiamo permetterci di improvvisare o di non capire i bisogni e i desideri espressi (ma soprattutto non espressi) del cliente. Possiamo avere viaggiato zaino in spalla per molto tempo della nostra vita, ma questo non basta: ci vogliono competenze a livello tecnico, amministrativo e legislativo. 

E saper ascoltare, con il cuore.

10. Minimalismo è di solito una caratteristica che contraddistingue un nomade digitale. Come si fa a chiudere tutta la propria vita in poco spazio e che vantaggi apporta seconda la tua opinione?

Il minimalismo mi ha insegnato che io basto a me stessa. Non sono le cose a farmi, le cose mi appesantiscono, mi legano, mi ingabbiano. Io sono io a prescindere dalle cose che ho e a prescindere da dove sono.

11. Hai un aneddoto da raccontarci, magari una piccola disavventura che ti è capitata in viaggio e che successivamente si è dimostrata una grande lezione?

Non vorrei focalizzarmi su aneddoti e disavventure, ma quello che i viaggi in solitaria mi hanno lasciato: ascoltarmi profondamente, stare bene con me stessa, dare il giusto peso ai problemi, ascoltare e osservare l’ambiente circostante per evitare cose spiacevoli. Non sono Wonder Woman, posso permettermi di chiedere aiuto.

12. Tre città o luoghi che un nomade digitale dovrebbe vedere almeno una volta nella vita e perché.

Ovunque, l’importante è sentire una connessione intima (il sentirsi a casa) con quel posto, può essere anche il paesino sconosciuto al resto del mondo. 

Ah, oltre alla connessione intima ci deve essere anche una buona connessione internet, of course! 😉

13. Una canzone che hai raccolto (o che ti ha accompagnato) durante un viaggio

Calle 13, Latinoamerica, Sudamerica nel cuore. ❤️

E per i momenti down in cui voglio darmi una botta di vita e allegria Marc Anthony, Vivir mi vida.

14. Se la tua vita fosse un messaggio che dai al mondo, che messaggio sarebbe?

Come diceva Lao Tzu “un viaggio di mille miglia comincia sempre con il primo passo”. L’importante è farlo quel primo passo, poi ne seguirà un altro e un altro ancora.

15. Sei felice?

La felicità è una questione di scelta, la giusta prospettiva dal quale guardare le cose: io faccio il possibile per ricordarmi di scegliere di essere felice ogni giorno.

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Redazione
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