Giuseppe Siletti, Freelance Developer

Il mondo del web potrà anche sembrare “il paese dei balocchi”, ma la verità è che dietro i grandi successi si nasconde un percorso lungo ed impegnativo.

Tutto questo è ancor più vero quando affrontiamo l’argomento Upwork: per alcuni incubo ricorrente o marketplace incompreso, per altri una risorsa fondamentale per il proprio lavoro da freelance.

Qual è il suo segreto? Metodo, competenze, studio e una strategia ben congegnata. Proprio come quella messa in pratica da Giuseppe Silletti, il nostro intervistato di oggi, che gli ha permesso di dominare il gigante che ogni buon freelance ha incontrato almeno una volta nella sua vita.

1) In due parole: chi sei? Dove ti trovi attualmente e in cosa consiste la tua attività di nomade digitale?

Un giovin(astro) pugliese, classe 92. Un passato poliedrico segnato da fallimenti seriali:

  • Ho suonato chitarra per 2 anni, piano per 1 anno.
  • Ho fatto il dj per 6 mesi, lo “scrittore” per 2 anni.
  • Taekwondo per 10.
  • Copywriter per 6 mesi.

L’unica costante nel tempo è stata la mia passione per l’informatica, in particolare per lo sviluppo software, che è anche ciò che mi paga i panzerotti da ormai 4 anni.

Nei miei due anni da nomade ho lavorato da freelance sviluppando prodotti digitali per startup e anche creando software personalizzati per piccole e medie imprese.

Al momento vivo a Lecce, dove ho deciso di trasferirmi stabilmente con la mia dolce metà poco prima della pandemia.

2) Cosa ti ha spinto a diventare nomade digitale e qual è il percorso che ti ha portato fin qui?

Ho sempre voluto lavorare da freelance. Durante i miei studi universitari ho comprato un libro sul copywriting, l’ho studiato per bene e nel giro di 3 mesi mi son trovato 1000 euro su Paypal che ho usato in viaggi vari. Dopo essermi laureato mi sono trasferito ad Amsterdam per lavoro. E dopo un mese in ufficio… mi sono ripromesso che non avrei passato il resto della mia vita in una routine che non avevo deciso.

E poi c’era il viaggio: sognavo di avventure in terre esotiche, ma essere limitato dalle ferie mi frustrava non poco.

Ho conosciuto per caso un ragazzo irlandese ad un meetup lì ad Amsterdam, Niall Doherty, abbastanza famoso nel circolo dei nomadi, che mi ha fatto conoscere la realtà di questi “digital nomads”. Ne sono rimasto subito affascinato, soprattutto perché combinava ciò che volevo di più: fare il freelance e viaggiare!

Così ho deciso che da lì ad un anno avrei lasciato tutto e sarei partito. Dopo 6 mesi ho chiesto il part-time alla mia azienda, ho trovato il mio primo cliente da freelance e dopo altri 6 mesi mi sono licenziato e non ho guardato più indietro.

3) Qual è stato l’ostacolo maggiore che hai dovuto affrontare e come lo hai superato?

Nei 6 mesi che sono stato nel sud est asiatico, due li ho passati riducendo i miei risparmi al minimo. Non riuscivo a trovare clienti, ero abbastanza depresso e ho pensato che quella sarebbe stata la fine del mio sogno da freelancer. Ho iniziato a cercare posizioni da remoto, ho anche fatto un colloquio che non è andato bene.

Mi sono fatto forza ed ho iniziato a provare strategie diverse. Ho sempre usato Upwork come fonte principale per cercare clienti, ma senza aver un gran successo. Evidentemente mi mancava una strategia di acquisizione di clienti.

Uno dei miei errori è stato vendermi come sviluppatore, il che mi lasciava in balia delle leggi del mercato. Ero una commodity, un semplice operaio che doveva tener conto della concorrenza spietata dei freelancer dell’est europa o asiatici.

Ho iniziato a creare un profilo diverso: non quello di un “semplice” sviluppatore di questa o quella tecnologia, ma quello di un problem solver. I miei clienti ideali sono diventati quelli che vogliono sviluppare un prodotto digitale da vendere, o magari un imprenditore che vuole digitalizzare i processi produttivi della propria azienda e non sa da dove iniziare. Il copy e SEO del mio profilo Upwork adesso rispecchia proprio questo.

Inoltre, su Upwork chi invia una proposta tra i primi 10 ha più possibilità di essere letto e di vincere il progetto. Ho creato un sistema per ricevere una notifica ogni qual volta un progetto viene postato (IFTTT + Upwork RSS + Telegram).

A questo punto è importantissimo scrivere delle proposte decenti, con il focus sul problema del cliente, piuttosto che sulle lauree e certificati che abbiamo. Ho anche fatto un esperimento: ho registrato una “video proposal” e ho vinto un progetto proprio per questo. “Mettere la faccia” può far la differenza in un mondo di freelancer poco professionali… e su Upwork ce ne sono a bizzeffe!

4) Ci sono molti bravi professionisti che sono rimasti delusi da Upwork, “non ce l’hanno fatta”. Che consiglio daresti a questi professionisti?

Il mio consiglio è: rivedete il vostro profilo e il modo in cui scrivete le proposal. Dov’è il focus? Sulle vostre qualifiche e anni di esperienza? O su come pensate di aiutare i vostri potenziali clienti?

Vi suggerisco un esperimento: inventatevi un progetto e cercate dei freelancer su Upwork che possano aiutarvi. Magari vi serve uno sviluppatore software e non avete idea di come incominciare. Chi scegliereste tra i tanti?

5) Elenca tre pro e tre contro dell’essere nomade digitale.

Essere un Nomade Digitale può essere visto come un side-effect dell’essere un freelancer, quindi la maggior parte dei vantaggi di essere un nomade sono i vantaggi che vengono dal lavorare per se stessi. Quindi i miei pro e contro tengono conto di questo.

PRO:

  • Non si é vincolati da una serie di spese fisse che si hanno quando si vive in un posto fisso.
  • Si può viaggiare con flessibilità perché non si ha un contratto di affitto.
  • Puoi vivere dove il costo della vita è basso e questo può essere d’aiuto quando si sta iniziando un business.

CONTRO:

  • Può diventare stressante cambiare spesso casa e località.
  • Può essere difficile creare una comunità o creare amicizie stabili quando ci si muove spesso.
  • Può essere difficile concentrarsi sulla crescita del proprio business quando ci si muove spesso.

6) Cosa significa per te essere nomade digitale? Qual è il tuo stile di vita, la filosofia esistenziale che ti accompagna nel tuo nomadismo? 

Sono un tipo abbastanza pragmatico, quindi la mia definizione lo è anche: essere un Nomade Digitale per me significa avere la possibilità di conoscere il mondo senza essere condizionati dalle ferie e con la flessibilità di un affitto “on-demand”.

7) Pensi che l’essere nomade digitale possa avere un’influenza sulla nostra società?

Non credo sia uno stile di vita sostenibile per tutti, soprattutto se si viaggia di continuo. Io personalmente preferisco restare in un posto il più a lungo possibile, così che possa avere il tempo di creare qualcosa, che sia una comunità, una nuova amicizia, cose dove il tempo è un ingrediente essenziale.

Può essere utile per la società? Certo! Anche se credo che il concetto di nomadismo digitale si evolverà nel concetto di “location independence“. Essere liberi di lavorare da dove si vuole e quindi vivere dove ci piace di più.

8) Qual è il consiglio più prezioso che daresti a chi vuole intraprendere la tua strada o professione?

La mia professione è la più accessibile al giorno d’oggi, a qualsiasi età! Si può iniziare a programmare da giovanissimi o nel bel mezzo della nostra vita. Non è raro trovare storie di cinquantenni che hanno cambiato carriera per diventare sviluppatori. 

L’informatica è super accessibile al giorno d’oggi. Ci sono corso intensivi che ti formano in sei mesi e ti danno le basi per iniziare come junior developer. 

Il consiglio più prezioso? Cercate di diventare i migliori e siate onesti. Ci sono un sacco di sviluppatori che si credono tali dopo aver seguito un corso online su Udemy.

9) Tre città o luoghi che un nomade digitale dovrebbe vedere almeno una volta nella vita e perché.

  • Vietnam: paesaggi fantastici, gente stupenda. Se potessi vivrei lì!
  • Angkor Wat, in Cambogia. Un posto magico che ti porta indietro nel tempo!
  • Ovviamente la nostra bella Italia! 🙂

10) Se la tua vita fosse un messaggio che dai al mondo, che messaggio sarebbe?

Non abbiate paura di provare. Qual è il peggio che potrebbe succedere?

11) Sei felice?

Ni. I due anni da nomade mi hanno cambiato, mi hanno fatto sentire sempre meno appartenente ad una cultura, ad una “tribù”. Ora che ho una dimora fissa spero di poter costruire qualcosa e sentirmi di nuovo parte di una comunità.

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Redazione
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