1. Leonie, in due parole: chi sei, dove ti trovi attualmente e in cosa consiste la tua attività?
Ciao 😁
Sono Leonie e mi trovo attualmente in Vietnam. Ho creato Bees4life.org per promuovere la salvaguardia delle api e degli altri impollinatori. Sono anche traduttrice da quattro lingue verso il tedesco.
2. Cosa ti ha spinto a diventare nomade digitale e qual è il percorso che ti ha portato fin qui?
Sono cresciuta in Germania. In Italia sono venuta dopo aver terminato il liceo e ci sono rimasta per nove anni. In quei nove anni l’Italia mi ha insegnato tanto, ma ogni volta che andavo all’estero sentivo la frustrazione di dover tornare a casa senza avere ancora ben compreso il posto in cui ero stata.
Ecco, la spinta maggiore a diventare nomade digitale è stata proprio la volontà di soddisfare il bisogno di essere libera di muovermi, di non rimanere ferma in un luogo preciso, proprio per capire meglio il paese in cui mi trovavo. Così sono diventata una slow traveller. Essere una “viaggiatrice lenta” significa fermarsi in un luogo per un periodo prolungato così da immergersi davvero nella cultura del posto, fino al punto di imparare a conoscerne i costumi. Ah, e la gente, naturalmente! Ecco, le relazioni umane mi hanno da sempre affascinata.
Tra parentesi: devo ammettere che al momento ho portato un po’ all’estremo il concetto di slow traveller. A causa della pandemia – e per altre ragioni – mi trovo in Vietnam ormai da tre anni. Magari ora mi buttate fuori dal gruppo!
3. Qual è stato l’ostacolo maggiore che hai dovuto affrontare e come lo hai superato?
Inizialmente, non avere un introito ‘digitale’ è stato l’ostacolo maggiore. Quando vivevo in Italia, avevo il classico lavoro d’ufficio – altro che nomade digitale! – per cui ho dovuto, per prima cosa, crearmi un’attività da remoto. E ci ho messo due anni prima di riuscire a partire. Questo passo non è da sottovalutare. Non sarei mai partita senza la sicurezza di avere dei lavori online in grado di sostenere le (non poche) spese di vita e di viaggio.
Per trovare il lavoro da svolgere da remoto mi sono fatta la tipica domanda da life coach: che cosa so fare veramente bene, e cosa mi piace fare per davvero? Le due cose combaciano? Ecco, proviamo allora a vedere se si può svolgere quell’attività come lavoro online. Nel mio caso, erano le lingue straniere. E nel tuo caso? 😀
4. Elenca tre pro e tre contro dell’essere nomade digitale
Pro: apertura della mente, uscita dalla comfort zone, rafforzamento del senso di adattamento.
Contro: i frequenti spostamenti in aereo.
È un tasto dolente del mondo dei nomadi digitali. Purtroppo, molti di noi prendono l’aereo ogni settimana, oppure ogni mese; comunque, senza troppo pensare alle emissioni di CO₂. Ecco, abbiamo un pianeta solo e non possiamo comportarci come se non ci fossero conseguenze. Il cambiamento climatico è un fatto reale. Credo che proprio noi come comunità così sveglia (non lo dico in senso ironico, credo davvero che siamo un gruppo ‘sveglio’) dobbiamo essere più coscienti delle nostre scelte in fatto di trasporti. Ci deve essere il momento in cui chiedersi: ma, questo viaggio, potrei farlo in treno, o con un mezzo di trasporto alternativo all’aereo? Oppure: devo farlo davvero?; devo volare a Londra per il weekend perché fa figo, o posso anche prendere il treno per andare a visitare Firenze (che fa pure figo)? O anche: devo volare a Londra per questo meeting, o posso fare un chiamata con Zoom?
Magari porsi queste domande in era Covid è scontato, ma lo dico per chi leggerà negli anni a venire.
Dai, lo so che è fastidioso sentirselo dire, e che sembro una tipa tutta seria e tedesca. Ma non prendertela con me! Ci deve pur essere un’eco-rompipalle che dice queste cose nelle interviste NDI. 😄
5. Pensi che l’essere nomade digitale possa avere un’influenza sulla nostra società?
Assolutamente. Credo che il viaggio (se è sostenibile) porta sempre ad aprire nuovi orizzonti. Specialmente dopo quest’era di pandemia che, avendo fatto sì che tanti lavori si svolgessero online, ha di conseguenza incrementato il numero di nomadi digitali rispetto a prima.
6. Nel futuro ti vedi ancora nomade o pensi che vorrai stabilire il tuo nido da qualche parte?
Credo che diventerò sempre più slow… Tipo, trascorrerò cinque anni, o anche di più, in uno stesso posto. Sono una grande fan dell’immersione totale in una nuova cultura, e credo che solo così si possa veramente conoscere un luogo in tutta la sua profondità e diversità rispetto a ciò che conosciamo.
7. Minimalismo è di solito una caratteristica che contraddistingue un nomade digitale. Come si fa a chiudere tutta la propria vita in poco spazio e che vantaggi apporta seconda la tua opinione?
Credo sia fondamentale ridurre le proprie cose per fare più spazio nella testa, sia in viaggio che a casa. Ogni cosa posseduta richiede spazio e attenzione. Ancora oggi mi aiuta tanto chiedermi: questa cosa mi porta gioia? Se la risposta è no, allora fuori: si può donare.
8. Hai un aneddoto da raccontarci, magari una piccola disavventura che ti è capitata in viaggio e che successivamente si è dimostrata una grande lezione?
Viaggiavo in bicicletta, attraverso regioni remote, a Taiwan. All’improvviso si ruppe il reggisella: un guasto non proprio semplice da riparare. Puntualmente persi la connessione del telefono. Non sapevo parlare il taiwanese. E, per di più, era domenica. Per strada, in un piccolo paesino, trovai solo un vecchietto.
Mi sorrise con la bocca piena di sangue.
Ma no, stava solo mangiando le noci di Betel.
(Per chi non ha ancora viaggiato in Asia, si tratta di un seme che proviene dai frutti che crescono su esili palme, e che possiede effetti simili a quelli della nicotina; insomma, una specie di droga legale. Di consueto, è consumato dalla generazione di anziani in località rurali. Il consumo delle noci di Betel rende la bocca e le gengive rosse: di un rosso bello acceso, se posso aggiungere).
Per riparare la bici, mi portò da diversi abitanti del villaggio. In molti si rifiutarono, vedendo che il guasto era complicato. Finalmente, un ennesimo meccanico accettava la sfida di metterci mano – era anziano, e probabilmente non aveva mai visto una straniera. Un gruppo di persone si univa a noi e incuriosite assistevano allo spettacolo di questa ragazza altissima, con la bici rotta in modo strano, e del vecchietto che voleva risolvere la situazione. Questo signore, inaspettatamente, riuscì a fare un miracolo. Stabilizzò il tubo rotto fissandolo a un tubo parallelo, tagliato da lui a mano – ci riuscì dopo due ore di quelle che credo siano state bestemmie in taiwanese. Felice e sollevata aprii il portafoglio per pagare, anche se al tempo stesso mi aspettavo una bella ‘botta’, visto che ci avevano lavorato in tanti, per tanto tempo, e pure di domenica! Quello che successe, invece, me lo ricorderò per tutta la mia vita.
Il signore per primo fece segno di no con la mano. “No, no!”. Io provavo e riprovavo; insistevo, tirando fuori soldi a caso. I “No, no” diventavano sempre più rumorosi: sentivo come se a rifiutarsi fosse tutto il gruppo. Alla fine, con un’aria di trionfo e i sorrisi più felici che potessero esistere li sentii urlare “TAIWAN, NUMBER ONE!” con i pollici alzati. Ero così commossa. Partii con le lacrime che scendevano e il cuore gonfio, colmo di infinita tenerezza per questo popolo taiwanese.
9. Tre città o luoghi che un nomade digitale dovrebbe vedere almeno una volta nella vita e perché
Non credo molto nelle bucket list, anche se brevi. Penso invece che dovremmo viaggiare dove ci porta il cuore. Lo sentiamo dentro di noi quali sono i luoghi che ci attraggono e che ci vogliono insegnare qualcosa. Per dire, credo nei segni dell’universo. Dobbiamo solo essere più attenti a leggerli.
10. Una canzone che hai raccolto (o che ti ha accompagnato) durante un viaggio
Magari è scontata: “Hello Vietnam” di Phạm Quỳnh Anh.
Si tratta di una canzone che viene trasmessa sui voli della compagnia aerea VietJet Air. Da quando l’ho sentita la prima volta, non sono più riuscita a dimenticarne la melodia.
11. Sei felice?
Caro Team di NDI, avete detto che sarebbe stata una semplice intervista, invece tirate fuori domande di spessore: bravi! Rispondo con piacere.
Credo di aver trovato la mia personale chiave della felicità, e sono lieta di condividere il modo in cui ci sono riuscita, sperando che possa essere utile a chi legge. Magari ti farà ridere, perché si tratta di un metodo analitico. Comunque, non deriva da una mente tedesca, ma da una mente sarda: io ho solo preso spunto.
Dopo aver viaggiato in giro per il mondo per circa un paio di anni, si traccia un grafico. Sull’asse delle 𝓍 si inseriscono i posti in cui si è stati – per esempio: gennaio/marzo,Tailandia; aprile/agosto, Laos; e così via. Sull’asse delle 𝑦 si riportano invece i diversi gradi di felicità: “poco felice”, “mediamente felice” e “molto felice”. Poi si ripensa al mood e al livello di felicità provato nei diversi intervalli di tempo, e si traccia il proprio grafico personale della felicità. Ma c’è di più; questa è solo metà del lavoro. Ora diventa interessante. Probabilmente alcuni posti, a differenza di altri, coincideranno con gradi di felicità elevati. Ma ti renderai conto che, a volte, la tua felicità non dipenderà dal luogo, ma da dentro di te. Osserviamo allora i picchi della felicità, ed esploriamoli: quali sono stati i fattori che ti hanno reso così felice? E poi analizziamo anche gli avvallamenti: che cosa è successo da farti sentire tanto insoddisfatto?
Non ho badato a spese 😉 e ti ho fatto un grafico con Paint perché tu ne abbia un esempio visivo:
Personalmente, da questa analisi, ho capito che per essere felice ho bisogno di diverse cose, ma qui, per sintesi, ne condivido tre: essere connessa a persone che hanno valori simili ai miei; avere facile accesso alla natura; essere in grado (sia economicamente che in termini di tempo) di svolgere un lavoro che, oltre a farmi guadagnare, abbia anche per me un senso.
Mi auguro che anche tu, al più presto, possa trovare la tua felicità, ovunque essa sia.
Un abbraccio,
Leonie
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Un ringraziamento a Dorotea Cerra per il suo ottimo lavoro di revisione del testo. Per saperne di più, contattala tramite il suo sito IndieScribing.it.