Lucia Ricciuti: software developer dipendente

Nulla si crea: falso. Basta desiderarlo con tutta la forza che si ha in corpo. Nulla si distrugge: falso. Chiedetelo alle vite precedenti di molti nomadi digitali. Tutto si trasforma: vero. E Lucia è un esempio luminoso degli effetti benefici e del cambiamento che questo modo di vivere può portare nella vita delle persone.

Anzi – ed è chi ha riletto questa intervista riga dopo riga a prendersi la responsabilità di quanto sta per scrivere – la verità che salta fuori è la più sacrosanta, eppure a volte scivolosa, fra i pensieri di chi si avvicina al nostro stile di vita. Rinunciate a cercare il nomadismo digitale disegnato sulle mappe, perché non è affatto un punto di arrivo, ma l’alba di tutto quello che verrà. E sembra che Lucia – tra ripensamenti, dubbi più che leciti e inversioni di rotta – si trovi con tutti e due i piedi ben saldi su questo sentiero invisibile dagli effetti strabilianti.
Lucia Ricciuti

1. Lucia, in due parole: chi sei? Dove ti trovi attualmente e in cosa consiste la tua attività?

Mi trovo in Messico e più precisamente a Playa del Carmen, nella penisola dello Yucatan. Sono programmatrice – software developer – e lavoro full-time da remoto per una ditta spagnola. Il progetto di cui mi occupo è una piattaforma di vendita di biglietti online per eventi.

2. Cosa ti ha spinto a diventare nomade digitale e qual è il percorso che ti ha portato fin qui?

Semplice. Avevo la necessità impellente di fuggire dall’ufficio e da quella ripetitiva routine settimanale: senza sosta dal lunedì al venerdì per affrontare il classico 09:00-18:00 senza flessibilità oraria e lavorativa.

Ho lavorato per tredici anni in ufficio con questa modalità e veramente non ne potevo più. Così, nel 2014, mi sono licenziata dall’ultimo vero lavoro “fisso”.

Freedom at last. No more chains. 

Più o meno erano queste le frasi che risuonavano forte nella mia testa in quel periodo, e allora tanto valeva prendersi un periodo sabbatico per riflettere e capire quello che volevo fare. A quel tempo sapevo chiaramente ciò che non desideravo più, ma non ero ancora sicura di quello che volevo.

Poi, il destino. Prima che trovassi la quadra, mi è arrivata un’offerta lavorativa da remoto per una collaborazione come freelance. Ai programmatori è facile che arrivino richieste inaspettate in quanto siamo molto richiesti e, a dirla tutta, un paio di anni prima avevo già avuto dei contatti con questa compagnia riguardo una posizione di lavoro.

Avevano bisogno di qualcuno con urgenza per far partire, già dalla settimana successiva, un nuovo progetto per un loro cliente. Forse – anche se non ne avrò mai la certezza –, se non avessero avuto tutta quella fretta non avrei accettato a furia di rimuginarci sopra. La verità è che non mi sentivo pronta e volevo finire il periodo sabbatico che mi ero presa. E invece, in modo del tutto inaspettato, mentre mi trovavo già fuori dall’Italia scorrazzando verso l’Argentina, la mia vita è cambiata. Ed è iniziata la mia avventura da nomade digitale

E sempre in quel periodo, ho inaugurato il mio percorso da nomade che definire variegato sarebbe riduttivo. Prima di arrivare al 2023 ci sono stati due anni da freelance, un anno sabbatico nel mezzo dopo aver perso di nuovo la bussola, e alla fine l’assunzione da parte di questa ditta spagnola per la quale lavoro da cinque anni.

Lucia Ricciuti

3. Qual è stato l’ostacolo maggiore che hai dovuto affrontare e come lo hai superato?

Svolgendo una professione molto richiesta trovare lavoro non è lo scoglio più impegnativo. Le difficoltà sono per lo più mentali: la comunicazione virtuale, l’autodisciplina e la responsabilità. Sfide che nel tempo si sono rivelate opportunità di crescita personale e professionale sperimentate sul campo.

Per affrontarle ho ricevuto il massimo supporto da parte dei miei nuovi colleghi che, forti di un’esperienza simile alla mia, comprendevano le mie inquietudini. Ricordo nettamente la sensazione di sentirmi un pesce fuor d’acqua e di aver perso i riferimenti. Quando lavori in ufficio, se c’è qualcosa che non capisci oppure non ti riesce, ne parli con i colleghi. Ma quando sei sola a casa, con il solo laptop davanti che può risponderti, con chi parli?

Piano piano ho imparato a comunicare in maniera efficace e professionale utilizzando le chat, a migliorare l’organizzazione della mia giornata lavorativa sfruttando i task e gli strumenti di project management e a documentarmi online per aumentare le mie conoscenze. Ora, se c’è qualcosa che non mi riesce, mi documento, trovo la soluzione e scrivo al collega per condividere con lui la mia scoperta. Una prospettiva del tutto nuova!

Un ulteriore fattore che mi ha aiutato è stata la possibilità di viaggiare in posti meravigliosi: desideravo con tutto il cuore che questa vita funzionasse perché, semplicemente, era troppo bello. Quindi concentrazione, produttività al massimo e, nel tempo libero, snorkeling con un tuffo nei mari caraibici.

4. Elenca tre pro e tre contro dell’essere nomade digitale. 

PRO

  • La valorizzazione delle proprie capacità.
  • La flessibilità, negli orari e nel posto di lavoro.
  • L’avventura.

CONTRO

Sincera? Per me nessuno. Anche sforzandomi, se cerco di pensare agli aspetti che potrebbero apparire svantaggiosi per alcuni, mi viene in mente soltanto che a volte si lavora molto. Quantomeno con un classico lavoro in ufficio devi staccare a una certa ora e sicuramente non ti svegli al mattino col computer poggiato sulle gambe.

È anche vero, però, che lavorando da remoto si può lavorare un po’ meno nei periodi tranquilli e andare a prendersi un gelato a metà pomeriggio. In fin dei conti per chi ti commissiona il lavoro conta il risultato del tuo lavoro e non quanto impieghi a ottenerlo.

Lucia Ricciuti

5. Cosa significa per te essere nomade digitale? Qual è il tuo stile di vita, la filosofia esistenziale che ti accompagna nel tuo nomadismo? 

Per me i nomadi digitali sono degli eletti! Sì, dico davvero. Per me, i nomadi digitali vivono una vacanza eterna. Certo, devono lavorare, ma intanto stanno per settimane in bellissimi luoghi turistici dove la maggior parte delle persone potrebbe andare soltanto per una o due settimane all’anno. Il paradiso tropicale, il borgo montano o la capitale europea diventano lo scenario della routine di tutti i giorni dove si va a fare la spesa, ci si reca in palestra o a fare yoga, e dove si esce la sera oppure si passeggia nel fine settimana.

Con l’impagabile vantaggio di vivere tutto ciò entrando in contatto con una cultura diversa. Per me questo è un cocktail spumeggiante!

E a mio parere, questi nomadi digitali se lo meritano, per il semplice motivo di aver fatto una scelta coraggiosa: uscire dalla propria zona di comfort e rischiare. A dirla tutta poi, ciò che si scopre dopo aver fatto il salto è che l’unico rischio che corriamo è quello di aprire la nostra mente.

Il mio stile di vita è completamente nomade da otto anni. Non ho spostato la residenza dall’Italia dove pago le tasse, nonostante ci trascorra appena uno o due mesi ogni anno, andando a trovare i miei genitori che si prendono cura delle mie poche cose.

Per il resto del tempo sono in giro con un ritmo che mi porta a restare circa tre mesi in ogni destinazione. La mia filosofia? Conoscere posti nuovi, prenderne il meglio e poi voltare pagina. È più forte di me: anche se me la passo da Dio, arriva un momento dove una voce interna urla forte “Neeext!”. 

Ma non hai trovato un posto in cui ti piacerebbe rimanere?” è il dubbio che toglie il sonno ai non nomadi quando mi chiedono del mio stile di vita, e allora rispondo: “Il punto è che non lo sto proprio cercando…”. 

6. Parliamo di comfort zone. Se potessi insultarla, maltrattarla o sbeffeggiarla – anche simpaticamente – usando 3 parole per descriverla, quali sarebbero?

La comfort zone è come quel pomeriggio di pioggia autunnale in cui decidi di bivaccare sul divano e guardare svariati film, al calduccio sotto la coperta, con il barattolo della nutella tra le mani. Piacevole, sicuro, ma il giorno dopo esce il sole ed è meglio uscire a godersi il calore, perché se rimani sul divano perdi la tua identità.

Quindi, ecco le mie tre parole: vicolo cieco, paura, mancanza di fiducia in se stessi e nell’universo. E sì: le vie dell’universo sono infinite.

7. Pensi che l’essere nomade digitale possa avere un’influenza sulla nostra società?

Eccome! Anche se ovviamente non è necessario iniziare una vita nomade per una versione migliore di sé. Tuttavia, il fatto che molte persone siano riuscite a migliorare la propria qualità di vita con un’attività lavorativa più flessibile è una gran fonte di ispirazione e mostra che un altro mondo è possibile.

Quello che potrebbe paralizzare – così è stato anche per me all’inizio – è la convinzione che ci siano stili di vita confezionati e che questi siano gli unici possibili. Viaggiare e conoscere altri nomadi digitali mi ha mostrato invece che non c’è limite alle modalità di lavorare e di vivere. Si tratta solo di usare la propria creatività.

Lucia Ricciuti

8. Nel futuro ti vedi ancora nomade o pensi che vorrai stabilire il tuo nido da qualche parte?

Domanda giusta al momento giusto. Quest’ultimo viaggio – cominciato quasi un anno fa e ancora in corso – mi ha fatto capire che le mie esigenze sono cambiate. Sicuramente voglio continuare a viaggiare, ma credo che sceglierò con cura le destinazioni e opterò anche per soggiorni più estesi. Inoltre preferirei andare dove ho già una rete di contatti e darò più importanza alle esperienze umane rispetto al semplice viaggiare per conoscere.

Non ho ancora intenzione di stabilire un nido. Se lo farò, sarà sicuramente in un posto dove c’è un grande ricambio di persone, come le località turistiche per esempio.

9. Qual è il consiglio più prezioso che daresti a chi vuole intraprendere la tua professione?

Studiare e formarsi. Maggiore è la professionalità che acquisirai, superiore sarà la tua retribuzione a parità di ore e quindi la possibilità di lavorare meno guadagnando (potenzialmente) di più e avere una migliore qualità di vita.

10. Minimalismo è di solito una caratteristica che contraddistingue un nomade digitale. Come si fa a chiudere tutta la propria vita in poco spazio e che vantaggi apporta seconda la tua opinione?

È un processo che richiede tempo. Per me è avvenuto gradualmente: i primi zaini erano stracarichi e mi portavo dietro cose inutili. Invece il minimalismo arriva con l’esperienza dal momento che è necessario un cambio mentale.

Il vantaggio del minimalismo è la flessibilità, la possibilità di poter reagire meglio ai repentini cambi di piano e quindi di vivere meglio le situazioni e le circostanze.

11. Hai un aneddoto da raccontarci, magari una piccola disavventura che ti è capitata in viaggio e che successivamente si è dimostrata una grande lezione?

Ne ho centinaia. In genere sono molto fortunata ma allo stesso tempo tendo a fidarmi troppo, quindi molte delle disavventure che ho avuto sono state il risultato della mia mancanza di precauzioni. È storia recente: un caro amico mi ha addirittura detto che non mi proteggo!

Una disavventura che risale a meno di un mese fa, è stato lo smarrimento della mia borsa dopo averla lasciata nel cestino della bicicletta in una strada molto frequentata del centro. Manco a dirlo: dentro avevo telefono e portafoglio.

Con l’esperienza ho imparato che è buona norma portarsi sempre dietro una seconda carta di pagamento e che conviene lasciare la SIM italiana a casa con il passaporto, anche se il telefono è dual SIM. Ma la lezione più grande è che alla fine queste cose non sono così importanti come crediamo. La SIM si sostituisce, il telefono si ricompra, i soldi si possono ricevere via Western Union da familiari e amici.

E la vita continua a essere piacevole lo stesso (sempre con un biglietto di rimpatrio già in mano).

Lucia Ricciuti

12. Tre città o luoghi che un nomade digitale dovrebbe vedere almeno una volta nella vita e perché.

  1. Playa del Carmen, Messico. OMG: mai visto un posto così denso di professionisti digitali e, allo stesso tempo, così bello dal punto di vista paesaggistico e ricco di cose da fare.
  2. Bali, Indonesia. Il paradiso: tranquillo, facile, economico e lussureggiante.
  3. Bansko, Bulgaria. Ideale soprattutto per chi è agli inizi ed è giovane: qui il senso di community è molto forte.

13. Una canzone che hai raccolto (o che ti ha accompagnato) durante un viaggio.

“In vacanza da una vita” di Irene Grandi e credo che non sia difficile comprendere i miei motivi.

“E perché no, vivo in vacanza da una vita
(Perché no) e tra una discesa e una salita
Perché una ragione non c’è, perché”

14. Se la tua vita fosse un messaggio che dai al mondo, che messaggio sarebbe?

Trasformazione continua. Nessuna paura di mettersi in gioco e di ridefinirsi. Credo che come nomadi digitali sia necessario essere preparati a cambiare di continuo prospettiva, fuori e dentro di noi. 

15. Sei felice?

Totalmente. Uno dei periodi migliori della mia vita. E, sotto sotto, ho la sensazione che il bello debba ancora venire.

Lucia Ricciuti

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Un ringraziamento a Irene Mascìa per il suo speciale lavoro di revisione del testo.

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Redazione
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