[Se non hai ancora letto il primo articolo per scoprire il tuo cronotipo, puoi farlo qui.]
1. La tecnica del pomodoro
Meraviglia delle meraviglie per la maggior parte delle persone che conosco. Sviluppata da Francesco Cirillo negli anni Ottanta, questa tecnica di gestione del tempo prevede di impostare un timer per 25 minuti durante i quali bisogna lavorare ininterrottamente a un unico compito, fino in fondo. Dopodiché si hanno cinque minuti di pausa obbligati, nei quali bisogna stiracchiarsi, alzarsi, smettere di piantonare la scrivania. Se dopo questa mezz’ora il compito non fosse ancora terminato, ripetere la stessa formula di 25+5 minuti, ma ricordare che dopo quattro pomodori (vale a dire un paio d’ore, visto che sarebbero quattro mezze ore) la pausa dovrà essere più lunga, tra i 15 e i 30 minuti, per essere sostenibile.
Benefici:
La tecnica del pomodoro trae la sua forza dall’estrema semplicità. Permette di spacchettare compiti complessi, di finire più task facili accorpandoli all’interno degli stessi 25 minuti, di muoversi e non starsene ingobbiti tutto il giorno grazie alle pause obbligate. Essendo anche un tempo relativamente breve, persino in molti ambienti caotici dovrebbe essere possibile chiedere di non essere disturbati per mezz’ora, isolarsi del tutto e procedere.
Alla resa dei conti, è un ottimo metodo per combattere la tendenza al rimandare perenne, proteggendo anche dal lavorare a ritmi forsennati per recuperare il tempo perduto all’ultimo momento. Dietro suggerimento di Francesco Cirillo, è anche possibile prendere nota delle distrazioni durante quei 25 minuti, se ce ne sono state, e interrogarsi su come evitare di farle ricapitare, aggiustando il tiro.
Critiche mosse:
La tecnica del pomodoro ovviamente non è perfetta, come non lo sarebbe qualunque tecnica applicata acriticamente e additata come la panacea di tutti i mali. Se da una parte è vero che sfavorisce la procrastinazione e aiuta a mantenere il focus, da un’altra parte ha un approccio rigido e meccanico al lavoro che può non funzionare per tutti quei compiti (non strutturati in anticipo) che prevedono creatività, riflessione profonda e intuizione. È il cosiddetto pensiero laterale: chi non segue un percorso logico per giungere a una conclusione, ma preferisce un percorso analogico, indiretto, che esplora nuove idee in ogni sfaccettatura e per questo può essere divergente dal modello dominante, potrebbe trovarsi male a far rientrare nei ranghi del consueto la sua strabocchevole immaginazione. Questo modo di operare differisce dal pensiero lineare, detto anche “verticale”, che segue la logica e i fatti in una sequenza, è affine al metodo sperimentale e, per com’è strutturato l’insegnamento nella nostra società, sembra il più facile da trasmettere.
Inoltre, le pause all’interno della tecnica del pomodoro sono tante, ma assai brevi per chi deve trovare idee brillanti e analizzare a lungo la realtà. Per questo funziona meglio quando le idee sono già state trovate e vanno solo messe a punto: è il momento in cui c’è bisogno di eseguire, e non più di riflettere.
Può essere più adatta a:
Delfini e Lupi in primo luogo, Orsi con un sacco di compiti da sbrigare. Chiunque soffra di disturbo da deficit di attenzione e iperattività (da qui in poi ADHD), sia neurodivergente o per qualunque ragione psicologica o logistica trovi difficile mantenere la concentrazione necessaria a finire il suo lavoro. Chiunque abbia bisogno di molte pause durante il lavoro per non incorrere nel burnout e soffra a starsene inchiodato a una sedia per delle ore. Chiunque stia cercando di disintossicarsi dalla menzogna del multitasking (vedrai come ne parlerò in un prossimo articolo!).
Può essere meno adatta a:
Leoni che hanno bisogno di rilassarsi un po’. Persone che hanno preso alla lettera la Hustle Culture, quella mentalità e stile di vita che enfatizzano la produttività estrema e il sacrificio e lo sforzo costanti per il lavoro, e dal lavoro fanno dipendere parecchio del proprio valore umano, traendone più danni che benefici. Chiunque abbia bisogno di tanto pensiero laterale, riflessione profonda e approccio immaginativo al lavoro, dandovi la priorità rispetto all’eseguire in breve tempo i compiti assegnati.
Come mi sono trovata io a usarla:
Ne avevo sentito parlare per la prima volta durante un corso del public speaker e coach Carlo Loiudice, e mi era sembrata una tecnica ingegnosa e precisa. Dopo averla provata, so che è vero. Ricorro alla tecnica del pomodoro ogni volta che devo mettere un passo avanti all’altro e non farmi sopraffare dalla marea di cose da finire; ogni volta che voglio tenere traccia dei miei progressi e prendere nota delle minori distrazioni perché mi genera una soddisfazione immensa sapere che posso prendermi cura di me e prevenirle; ogni volta che ho bisogno di ordine e dedizione.
Ma credo che il beneficio più grande sia stato il constatare che la maggior parte dei compiti che ritenevo insormontabili o lunghissimi io li abbia risolti in molto meno. Non sono l’unica ad aver detto che credeva di metterci molto di più a sistemare le email, mentre con la tecnica del pomodoro ce l’ho praticamente fatta in meno di 25 minuti, e pure se erano tante. La tecnica del pomodoro mi aiuta anche quando devo terminare compiti che percepisco come noiosi e stressanti, perché significa procedere un passo alla volta e rendermi conto di essere “dall’altra parte dell’arcobaleno” grazie a una disciplina che trovo semplice da applicare.
E sebbene io mi trovi a mio agio con il pensiero laterale, sono anche consapevole che non sia nemico di metodo e organizzazione, e che le polarizzazioni per cercare di decidere se sia meglio o peggio del pensiero lineare sono sbagliate. Per me, conoscenza e strategie possono benissimo muoversi all’interno di uno spettro che unisce e non esclude i due modi di pensare, e i risultati sono ben più originali ed efficienti. Certo, non nego che mi sia capitato di pensare che i miei tempi fossero diversi dalla durata di un pomodoro (25+5 minuti), e che a volte mi sia pesato interrompermi o continuare solo per completarne uno. Ma è stato allora che mi è venuto in soccorso il pensiero laterale, facendomi fare d’istinto ciò che ti spiego qui sotto.
2. La Flowtime Technique
Detta anche “la variante della tecnica del pomodoro”, è l’ideale per chi ha bisogno di raggiungere uno stato di flow – cioè quello stato mentale in cui si è un tutt’uno con l’attività da svolgere, tutto è una sfida divertente, il tempo passa veloce e si prova una profonda gratitudine e armonia col compito da svolgere, che porta anche a performance migliori – senza essere dipendente dal timer impostato.
Questa tecnica di gestione del tempo, ideata nel 2016 da Zoe Read-Bivens, permette di massimizzare la propria produttività in maniera flessibile, perché il lavoro e le pause si stabiliscono a partire dalle proprie esigenze: ci si interrompe quando si ha bisogno di una pausa o si intravede una distrazione e, proprio come Francesco Cirillo insegna, si tiene traccia dei propri risultati o delle distrazioni così da prevenirle in futuro. Naturalmente, proprio come l’alternativa più vecchia, la Flowtime Technique implica il lavorare su un unico compito alla volta prima di passare al successivo: Read-Bivens chiama questo approccio unitasking. Proprio come la tecnica del pomodoro, è necessario avere una lista di cose da fare per sceglierle una per una, e proprio come la tecnica del pomodoro richiede di silenziare le notifiche e allontanarsi da persone, situazioni e App che impedirebbero il raggiungimento dello stato di flow.
Benefici:
Concentrarsi su una sola cosa finché è fatta bene permette di occuparsene con la profondità, la dedizione e anche il piacere che ne derivano. A lungo termine riduce il livello di cortisolo, allontana il rischio del burnout e tiene sotto controllo lo stress. Permette di conoscersi maggiormente, visto il livello di autodisciplina e responsabilità che ti richiede, e tarare la tua vita sui ritmi più giusti per te. Può anche essere la via d’accesso al concepire il lavoro come una sfida divertente ma nelle tue corde, facendoti passare dalla comfort zone alla stretch zone (ma per questo ti rimando alle ricerche di Mihály Csíkszentmihályi, e ti assicuro che tra qualche articolo avremo modo di sviscerarlo insieme).
Lavorare secondo i tuoi ritmi è ottimo per l’autodeterminazione e per costruire abitudini salutari destinate a restare, così da migliorare la qualità della tua vita. Inoltre, se scrivi l’inizio dello svolgimento di un compito e anche il finale, non solo potrai misurare la tua produttività in maniera certa, ma anche la tua autostima ne gioverà, ogni volta che saprai impedire l’insorgere delle distrazioni di cui terrai traccia.
Critiche mosse:
In tutte le mie ricerche non sono riuscita a trovarne. Forse perché è un metodo molto nuovo e viene dichiarato fin dall’inizio che serve a degli scopi precisi, non ha potuto sviluppare una letteratura decennale di contestazioni e fallimenti, o essere frainteso e utilizzato a tappeto come è accaduto per l’alternativa più vecchia. Tuttavia, con un po’ di senso critico sono riuscita a estrapolare io due o tre cose che non vanno con la Flowtime Technique, e te lo dirò appena leggerai la mia esperienza.
Può essere più adatta a:
Chiunque svolga un lavoro creativo o che richieda enorme dispendio energetico, quindi tutti e quattro i cronotipi sono potenzialmente coperti. Anche qui, chi soffre di ADHD o è neurodivergente, fatica a concentrarsi ed è incline al burnout perché a causa del perfezionismo rimanda e deve recuperare all’ultimo minuto il lavoro non svolto. Chi viene interrotto spesso da un contesto esterno che richiede di passare in continuazione da un’attività all’altra, e deve trovare una maggiore centratura sul lavoro. Chi svolge un lavoro che lo porta spesso fuori dalla propria comfort zone e sta cercando di conoscersi, riallinearsi ai propri ritmi rispettando maggiormente le sue esigenze.
Può essere meno adatta a:
Chi non è disposto a mettersi in gioco con la conoscenza di sé e assumersi un tale livello di rischi e responsabilità personali. Chi soffre di perfezionismo estremo e si punirebbe per non aver saputo calcolare ogni possibile fonte di distrazione (o non riuscire a superarla in un batter d’occhio una volta individuata). Chi non è disposto a fare tanti aggiustamenti individuali o della vita quotidiana per una tecnica che, come il nome attesta, richiede di abbracciare fluidità e mutevolezza per essere padroneggiata. Chi cerca una struttura più stabile e meccanica all’interno della quale muoversi, delle certezze più granitiche. Chi non ha modo, tempo o voglia di prescindere dal contesto per trovare ciò che funziona per sé.
Come mi sono trovata io a usarla:
Per la maggior parte del tempo alla grande! Mi ha permesso di essere padrona di me stessa, perché stava a me decidere cosa fare e quando farlo. Mi ha dato la serenità e il margine di manovra per stabilire il corso del mio lavoro e mi ha fatto armonizzare maggiormente coi miei ritmi anziché seguire quelli prestabiliti della tecnica del pomodoro.
Sicuramente ha i suoi limiti, perché, per quanto una possa sforzarsi di scrivere ogni distrazione pervenuta e inventare metodi per sfavorirle la prossima volta, non sempre si è all’altezza della propria propositività. Non possiamo controllare tutto e non possiamo trovare una soluzione immediata per ogni forma di distrazione che ci si presenta. Inoltre, se si ha una discreta dose di perfezionismo, frustrazione e malcontento saranno dietro l’angolo appena si deciderà di prolungare il flow per un tempo troppo lungo per gestire i propri altri bisogni, o quando ci si concederà di interrompere il lavoro troppo spesso per rispettare le scadenze.
Per questo la Flowtime Technique richiede un’enorme responsabilizzazione individuale e di avere un centro solido di amor proprio a fare da salvagente di trasformazione in trasformazione. Inoltre, poiché nessuna persona nasce imparata, sarebbe opportuno seguire i consigli di Read-Bivens per strutturare il flow e le pause, invece di sbatterci la testa senza manco un accenno di guida: otto minuti di pausa per ogni 25-50 minuti di lavoro, 10 minuti per 50-90, 15 se si superano i 90. Solitamente sarebbe il caso di fare una pausa quando latitano le idee, la mente è esausta, la frustrazione sale, concentrarsi sul compito prescelto diventa dura, le distrazioni incrementano e un task è già stato completato con successo.
Ma, come non mi stancherò mai di ripetere, questo rimane un metodo che strilla avanti tutta con la sperimentazione e il rispetto della propria unicità. E che può benissimo essere usato alternandolo con la tecnica del pomodoro, a seconda del livello di libertà e struttura di cui si necessita.
3. Il Timeboxing
Anche questa può essere ritenuta una variante della tecnica del pomodoro ed è particolarmente utile a chi non sa quanto tempo impiegherà a finire il proprio lavoro. Come la sua alternativa più vecchia, prevede di spacchettare i compiti più complessi per gestirli meglio, per un massimo di tre ore di lavoro ciascuno. Siamo sempre nel campo delle strategie di gestione del tempo, e la cosa bella è che può essere svolta anche in compagnia.
Benefici:
Chi deve lavorare a un progetto con dei colleghi potrà trovarla salvifica, visto che, a differenza delle prime due, il focus è sul tempo e non sui singoli compiti da portare a termine, e sappiamo che il tempo sembra essere molto più tosto da controllare quando si lavora in gruppo. Assicura di risparmiare le energie lasciando perdere dei compiti impossibili da ficcare in quelle tre ore, o che per essere svolti con pienezza hanno bisogno di una riorganizzazione radicale del team o delle proprie forze. Visto che anche in questo caso al centro dev’esserci una lista di cose da fare, richiede di calcolare in anticipo il tempo necessario per finirle tutte ed evidenzia le difficoltà relative ad alcuni task più di altri. Per forza di cose, anche il Timeboxing aiuta a tenere traccia di progressi, distrazioni e successi, correggendo il tiro e consolidando la fiducia in sé quando si riesce a padroneggiarlo.
Critiche mosse:
Come si legge da questa testimonianza, può essere deleterio se ci si aspetta di procedere di task in task organizzandosi a catena. Gli esseri umani non sono infallibili quanto la teoria, dunque lavorare in parallelo può evitare di far crollare l’intera struttura per gli errori, i bisogni o l’oggettiva complessità di un compito preciso assegnato a una persona o a una unità precisa. Anche coloro che hanno bisogno di restare nel flow potrebbero stare peggio dopo un po’ di Timeboxing, che richiede di passare da un compito all’altro anche interrompendo il filo dei pensieri o il processo creativo ancora in essere. Come al solito, diffida da chi cerca di spacciartela come la soluzione ultima per ogni problema lavorativo, perché nessuna tecnica è priva di rischi, punti deboli o circoli viziosi in cui cadere.
Può essere più adatta a:
Leoni a capo di un gruppo di lavoro, Delfini e Lupi che fanno da supervisor o da colleghi. Chiunque debba coordinare una task force o tragga enormi benefici dal lavoro di squadra ben organizzato. Anche qui, chi si distrae spesso, soffre di ADHD o è neurodivergente. Chi ha grandi responsabilità e una mole di lavoro imponente di cui prendersi cura per un lasso di tempo prolungato. Chi deve uscire dalla paralisi derivata dall’analizzare troppo le situazioni prima di buttarcisi, rimanda a causa di troppo perfezionismo e spesso si arrovella, perché il Timeboxing obbliga a dare la priorità al tempo. È un metodo che nel bene e nel male impone di darsi una mossa, e lo fa con grande convinzione.
Può essere meno adatta a:
Orsi che hanno una mole di lavoro ragionevole e non devono affrettarsi. Chi va facilmente in tilt se non riesce a ficcare ogni compito all’interno della finestra temporale deputata a completarlo. Chi ha una centratura instabile pur occupando un ruolo decisivo nella task force, perché potrebbe arrivare al micromanagement e a un atteggiamento dittatoriale pur di rispettare le tempistiche. Chi ha bisogno di pause tarate sulle proprie esigenze, non prestabilite dalla tecnica, e ha un disturbo d’ansia che ritiene debilitante. Il Timeboxing può indurre infatti un lavoro sciatto e raffazzonato pur di rientrare nei tempi, col risultato di essere dannoso per la soddisfazione, la qualità e la produttività in generale.
Come mi sono trovata io a usarla:
Se il lavoro che dovevo finire era individuale non sempre l’ho usata con saggezza e risvolti positivi. La mia creatività ne ha risentito, i risultati pure, e sono stata spinta più da motivazioni estrinseche che da motivazioni intrinseche, per misurarmi con un modello che mi allontanava dalla centratura. Sicuramente la parte buona di questa tecnica l’ho vista quando ho dovuto organizzare il lavoro a monte: rendermi conto di dove ficcare determinati compiti avendo a disposizione un lasso di tempo ben strutturato mi ha aiutato a gestirli meglio e a procedere a piccoli passi, senza sentirmi sopraffatta.
Quando invece mi è capitato di fare un lavoro di gruppo l’ho apprezzata, e ho svolto i compiti che mi sono stati assegnati con diligenza e precisione. Se dovesse succedermi ancora di essere in una situazione di teamwork e stessimo decidendo come gestire una mole di lavoro prolungata, probabilmente sarei la prima a suggerire questa tecnica. Ma, essendo io una persona introversa e riservata, sono sicura che smetterebbe di funzionare se il lavoro di gruppo diventasse la mia attività prevalente, perché l’autodeterminazione e il rispetto dei miei ritmi andrebbero un po’ a farsi friggere!
4. Il Deep Work
Hai presente quella cugina o sorella maggiore che ti rimproverava per gli elementi distrattivi che avevi attorno e si vantava di rinchiudersi in una stanza, da sola, a dare il tutto per tutto col lavoro o lo studio finché non aveva terminato? Ecco, questa è solo una parziale descrizione del Deep Work.
È un metodo descritto nel libro di Cal Newport Deep Work: Rules For Focused Success in a Distracted World, bestseller tradotto in italiano da Arianna Bevilacqua e pubblicato da ROI Edizioni col titolo di Deep Work: Concentrati al massimo. Quattro regole per ritrovare il focus sulle attività davvero importanti. Esso prevede di ritrovare concentrazione profonda e dedizione al proprio lavoro, discostandosi dallo Shallow Work, il lavoro superficiale dalla durata di attenzione ridotta, dal bisogno di rimanere sempre connessi e dalla FOMO (Fear Of Missing Out, la paura di perdersi degli eventi cruciali).
Per padroneggiare il Deep Work è necessario seguire quattro regole: ridurre il conflitto (vale a dire stabilire in anticipo dove, come e quando si lavorerà, per ridurre al minimo lo sforzo di concentrarsi, e allenarsi a distinguere tra cose urgenti e cose importanti); accettare la noia (grazie alla mindfulness, che insegna a non sclerare per 10 minuti di silenzio e tranquillità, per esempio); essere minimalista digitale (vale a dire rinunciare ai social media, a meno che non siano necessari per il proprio lavoro, e in quel caso farsi aiutare dal timeboxing per controllare la finestra temporale in cui utilizzarli); ridurre l’orario di lavoro per trarre il massimo risultato da un ragionevole impiego di risorse (così da eliminare il superfluo e lavorare più intensamente, ma guadagnando tempo libero e salute mentale).
Benefici:
Uno dei motti di questa tecnica è “Qualunque cosa tuo nipote di sei anni possa fare con uno smartphone non verrà pagata molto”, e dev’essere preso come un invito a non arrugginirsi mentalmente a causa dei troppi stimoli, puntando invece a dedicare tempo significativo a produrre un lavoro concentrato, di alta qualità e non facile da soppiantare da una macchina o dall’Intelligenza Artificiale. Non credo di dover spiegare quale incremento all’autostima, alla salute mentale e alla qualità della vita ci sia nel riuscirci, a breve e a lungo termine, e quanti circoli virtuosi inauguri.
Critiche mosse:
Il punto di vista di Newport è stato messo in discussione perché troppo afferente a quello degli accademici CEO esperti di tecnologia. Un establishment fatto soprattutto di uomini bianchi, con margine di manovra notevole grazie a ricchezza e lavoro di alto profilo, e che disprezzano il lavoro amministrativo e logistico, anche il lavoro di cura, in favore di quello in cui hanno il massimo potere decisionale, anche se l’hanno ottenuto sulle spalle di chi gliel’ha permesso dietro le quinte.
Dall’alto dei suoi privilegi, per i quali è escluso dal doversi occupare personalmente del proprio marketing online, a parte quello del suo blog dal quale poi ha assemblato il libro, ha anche un’opinione troppo negativa dei social media, dando a intendere che ci si iscriva solo per cercare attenzione e indulgere in connessioni superficiali (come se non potessero nascere amicizie significative e collaborazioni rivoluzionarie e benefiche grazie a essi). Dunque è troppo frettoloso nel bollarli come tanto negativi e raccomandare un approccio minimalista in cui li si esclude quasi del tutto. Anche le sue giustificazioni al riguardo non riescono a convincere l’autrice della recensione linkata sopra, e sembrano un tentativo di mettere le mani avanti.
Più volte viene rimarcato che sembra non avere alcuna esperienza con lavori privi di impostazione accademica, perché questi sono quasi gli unici esempi che sappia fare nel libro (così come adduce quasi solo esempi virtuosi di uomini bianchi e potenti), e che consigli spesso di agire come scaricabarile per i compiti che si percepiscono come superficiali o non importanti, cosa che può essere nociva per una cultura meno competitiva e individualista, e più collaborativa, pacifica e fattiva.
L’autrice non è stata l’unica a contestare la presunta trasversalità dei principi illustrati da Newport. Visto che tiene fuori le relazioni di potere e i doppi standard, sembra ridurre tutto alla forza di volontà e alla capacità di ribellarsi allo Shallow Work, e dunque ignora che le persone non partano tutte dallo stesso livello, che alcune professioni e alcuni profili professionali abbiano bisogno di più networking di come l’ha messa, e che non esistano professioni meno nobili di altre.
Essendo un libro che ho comprato ma non ho ancora letto, io per il momento sospendo il giudizio, ma certamente per quanti benefici abbia già ricavato dall’usare questo approccio in modo discontinuo non mancherò di contestualizzare e circoscriverne l’efficacia, al posto di farne una massima universale. Il Deep Work, in sostanza, può funzionare come tecnica, ai miei occhi, ma cercare di renderlo uno stile di vita che cancella l’integrazione con qualunque altra strategia sarebbe fallace e miope.
Può essere più adatta a:
Tutti i cronotipi, soprattutto i Leoni, se lavorano come CEO o supervisor. Chi ha uno stile di apprendimento prevalente di tipo visivo. Chiunque abbia molto spazio per agire in autonomia e possa delegare il lavoro di cura, le faccende domestiche e le incombenze di ordine pratico definite “superficiali”, o possa relegare queste cose ai margini della quotidianità.
Può essere meno adatta a:
Chiunque abbia bisogno di networking attraverso i social media e ne abbia ricavato del positivo, più di quanto il metodo illustrato preveda. Chiunque lavori in gruppo e abbia voglia o necessità di essere un team player, al posto di trattare gli altri come competitor da sbaragliare. Chiunque svolga un lavoro dai risvolti pratici e che impongono di mettere le mani in pasta più spesso di quanto si possa delegare, chiudendosi in una torre d’avorio.
Come mi sono trovata io a usarla:
Il Deep Work al suo meglio non è una tecnica per deboli di cuore, ammettiamolo. Questo significa che la sottoscritta vi ha fatto ricorso quando era con l’acqua alla gola, o, come si suol dire, “alla resa dei conti”. Mi ha giovato tantissimo, sia in termini logistici sia in termini psicologici, ma non ho mai avuto la costanza o la volontà di applicarlo a 360 gradi, vuoi per la mia indole e i miei bisogni di adesso, vuoi per pigrizia, vuoi per il mio lavoro di cura e la necessità e la voglia di fare rete, vuoi perché sono ancora in una fase della vita e della struttura del lavoro in cui un ambiente troppo metodico mi ricorda brutte reminiscenze scolastiche. Non escludo affatto di cambiare idea col tempo e con la possibilità di automatizzare i processi che non mi vanno. Ma comunque ci arriverò coi miei tempi e nel mio modo.
5. Il Task Batching
Ecco un’altra tecnica di gestione del tempo: il Task Batching prevede di organizzare il lavoro in modo da svolgere compiti simili insieme, così da strutturare delle sessioni che non rubino troppo spazio al tutto. Anche questa può prevedere un timer da impostare e può sposarsi molto bene con la tecnica del pomodoro e le sue alternative.
Benefici:
Secondo il Dottor Sahar Yousef riduce il rischio di multitasking e burnout, incrementa la concentrazione, favorisce il Deep Work e obbliga a organizzare i calendari in maniera compatibile, quindi responsabilizza. Il tempo che fa risparmiare deriva dall’aver ridotto anche la procrastinazione perenne, spingendo a un’azione metodica e disciplinata.
Critiche mosse:
Mi sembra abbastanza facile prevedere che una struttura simile non sempre insegni a distinguere le proprie priorità, o i lavori urgenti e i lavori importanti. Per chi, come me, è soggetto a perfezionismo e ha il cronotipo di un Orso-Delfino, può anche portare a volersi togliere di mezzo i compiti meno rognosi, spostandosi gradualmente verso quelli più complessi. Andrea Giuliodori, nel libro Riconquista il tuo tempo. Vinci le distrazioni. Riprendi il controllo delle tue giornate. Cambia la tua vita spiega bene perché sia una pessima idea nel capitolo “Come si libera la strada da una frana. Priorità.” Se la propria strada fosse bloccata da una frana di montagna, sarebbe più saggio sprecare energie concentrandosi sulla ghiaia o convogliarle nello sbloccarla dai massi più grandi?
Non sempre il massimizzare la libertà individuale tipico dell’Occidente ha effetti positivi sulla nostra psiche e sulle nostre scelte salutari. Ecco perché il Task Batching non andrebbe mai idealizzato, come per tutte le tecniche che ho messo qui.
Può essere più adatta a:
Delfini e Lupi in crisi, persone bloccate che hanno un estremo bisogno di mettersi al lavoro. Chiunque lavori in un gruppo organizzato in stile “catena di montaggio”. Chi ha bisogno di un sistema rapido per responsabilizzarsi e uscire da un’impasse. Chi deve disintossicarsi alla svelta dal burnout.
Può essere meno adatta a:
Orsi dall’organizzazione funzionale. Chiunque voglia fare un uso più responsabile del proprio tempo e ragioni a lungo termine. Chiunque voglia riorganizzare la propria vita dalle fondamenta senza cedere alle soluzioni facili a breve termine.
Come mi sono trovata io a usarla:
Bene a breve termine e quando lavoravo in gruppo, male a lungo termine perché ho interiorizzato dei comportamenti sbagliati e ho ceduto a qualche “faciloneria” di troppo. Vedo questa tecnica come involuta per apportare migliorie significative alla propria esistenza, ma utile per rapidità ed efficienza a chi è agli inizi o deve riprendersi da un brutto momento. Mi rendo conto che sarebbe anche possibile “batchare” il proprio lavoro in modo da sbrigare prima le priorità. Ma per mia esperienza il rischio di cedere alla tentazione di “fare prima ciò che ci va” anche quando sarebbe spazzare la ghiaia anziché sbloccare la frana è troppo alto. Così come è alto il rischio di dipendere dagli umori o dalle priorità degli eventuali colleghi, col risultato di perdere il proprio centro.
6. Le Virtual Coworking Session
Forse il nome ha già detto tutto a chi conosce l’inglese e l’ambiente. Le Virtual Coworking Sessions sono delle sessioni di lavoro online svolte in compagnia di colleghi, superiori o amici, anche se in effetti sarebbe possibile farle anche dal vivo.
Benefici:
Vari siti web riporteranno ciò che è facile da intuire per chi conosce l’ambiente. Sono una valida opportunità per fare networking, confrontarsi coi colleghi e apprendere nuove strategie di gestione delle stesse problematiche o di esecuzione degli stessi compiti, fare amicizia e ridurre l’isolamento negativo a cui sono soggetti alcuni lavoratori da remoto. Se le persone sono disciplinate, riduce le probabilità di distrarsi e procrastinare, visto che gli esseri umani funzionano per imitazione.
Critiche mosse:
Ovviamente oltre ai benefici arrivano i lati negativi. Se ci sono tante persone e si usa la tecnologia ci si deve preparare a veder crashare il server o la piattaforma utilizzata, magari proprio nel bel mezzo del lavoro. Se le persone sono indisciplinate costituiranno una fonte di distrazioni perenne, visto che gli esseri umani funzionano per imitazione. Cal Newport, a questo proposito, ricorderebbe che dopo un’interruzione il cervello impiega dai 15 ai 20 minuti per tornare nello stato di concentrazione precedente, col risultato di uno spreco di tempo potenzialmente massiccio perché il contatto sarebbe prolungato. Inevitabilmente potrebbero esserci persone competitive e ficcanaso che possono fungere da ostacolo per la produttività, accrescere la sindrome dell’impostore e la smania di dimostrare le proprie skills. Nel caso di un brainstorming sarebbe quasi inevitabile l’effetto collaterale del social loafing, ovvero la “pigrizia sociale” che porta alcune persone a impegnarsi di meno quando lavorano in gruppo rispetto a quando sono da sole.
Può essere più adatta a:
Leoni e Lupi che hanno bisogno di rimodulare la finestra di tempo consentita dal proprio cronotipo sui ritmi della maggioranza. Persone socievoli e molto bisognose di compagnia. Chiunque abbia uno stile di apprendimento auditivo combinato a un temperamento estroverso. Persone che non hanno molto da perdere, con un lavoro semplice da svolgere, e possono usarla come un’occasione eccellente per fare rete e studiare dai migliori. Chi ha risentito dell’isolamento tipico della pandemia.
Può essere meno adatta a:
Delfini che lottano per restare a galla e implementare abitudini salutari, disciplina e organizzazione. Orsi che funzionano già bene in solitudine. Chiunque stia cercando di padroneggiare il Deep Work. Chiunque sia una persona introversa, per cui la presenza di troppa gente significa scaricarsi dal punto di vista energetico proprio quando le energie vanno incanalate nel lavoro. Chi soffre di ADHD, è neurodivergente e/o ha la concreta possibilità di andare in sovraccarico sensoriale.
Come mi sono trovata io a usarla:
Disastro. Forse perché non mi è mai capitato di farne una con nomadi digitali consapevoli, rispettosi e preparati, la mia esperienza di Virtual Coworking Sessions con colleghe è stata piena di chiacchierate sullo sfondo, distrazioni, gente che si vantava di aver finito per prima, scavalcava le altre e imponeva il suo ritmo di lavoro in maniera diretta (magari dettando l’inizio e la fine della sessione, stimolando applausi e facendo accrescere l’ansia di chi era a un pessimo punto) o indiretta (sbuffando, alzandosi, facendosi notare con battutine e richieste di consigli, per poi chiudersi nel silenzio quando di consigli ce ne sarebbe stato bisogno, ma non avrebbe giovato alla sua mole di lavoro). Visto che le colleghe in questione facevano anche parte di un ambiente molto aggressivo e competitivo, che dava troppe cose per scontate anche se pretendeva di rappresentare più punti di vista del proprio, non ho neppure potuto fare rete. È stato l’equivalente di espormi a vicini rompiscatole e rumorosi, e dover gestire al contempo il mio lavoro e la possibilità infondata di un po’ di networking.
Va anche detto che da persona introversa io ricarico le batterie stando da sola, e non posso proprio permettermi di scaricarmi quando devo lavorare. Come mostrano anche le ricerche di Susan Cain, sono più intrinsecamente motivata e meno energizzata dai riconoscimenti esterni. Quindi, a meno che io non stia lavorando accanto a persone estremamente discrete, gentili e non invadenti, credo proprio che mi atterrò alle tecniche che hanno sempre funzionato per me, al posto di riprovarci. La mia centratura e la mia autodisciplina ringraziano, e la qualità del lavoro svolto nei tempi giusti pure.
7. Sperimentazione
Il settimo consiglio è quello che ancora non conosco.
Quello che ancora non m’è venuto in mente e forse non mi verrà mai in mente, perché non potrebbe prevedere le infinite possibilità che la tua vita, il tuo lavoro e i tuoi bisogni e desideri partorirebbero. Neppure mi interessa riuscirci. Parte del bello di questo percorso è di trovare la tua strada e seguirla, anche cadendo, anche rialzandoti, e poi, se lo vorrai, condividere le tue scoperte col mondo.
Quindi non esitare: slaccia la cintura, apri lo sportello e va’ ad esplorare!
Grazie. Molto molto interessante, soprattutto la parte del Deep Work che mi ha ricordato alcune delle strategie suggerire da Tim Ferris in 4 Hours a week.