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Lavorare concentrati: sfatiamo i miti che sabotano la tua produttività da remoto

Written by

Silvia Genovese

Rieccoci a un’altra puntata di Lavorare Concentrati, anche detto “ciò che ogni Nomade Digitale dovrebbe sperare di ottenere per non veder franare la sua vita”!

Abbiamo già visto cosa dovresti mettere in conto su di te prima di provarci, sette tecniche vere e proprie, in che modo e per chi la musica può rivelarsi un’alleata o una fonte di distrazioni, e pure le buone abitudini da cementare perché il contesto extra lavorativo non si metta in mezzo. In teoria dovrebbe esserci tutto, no?

No! Di fatto l’ultima barriera di cui voglio parlarti al mantenere la concentrazione è su preconcetti e luoghi comuni che da secoli ci spacciano come sacrosanti e inviolabili. Sul lavoro vengono avallati, nelle relazioni interpersonali ci condizionano più spesso che no, e grazie a uno stile di vita frenetico seguito dalla maggioranza sembra non ci sia alternativa. È un bombardamento perenne del quale possiamo anche non renderci conto.

Ma tu, da professionista che lavora da remoto o aspirante tale, saprai che fare le cose che fanno tutti non è necessariamente meglio. Hai già fatto un percorso per emanciparti dall’idea che esista un solo modo di vivere, pensare e operare valido.

E visto che questi articoli sono qui per aiutarti, direi sia il caso di scoprire quali convinzioni o abitudini possono rivelarsi dei sabotaggi.

[Leggi il primo articolo sui cronotipi cliccando qui, quello sulle 7 tecniche di concentrazione cliccando qui, quello sul ruolo della musica cliccando qui, e quello sulle routine giornaliere qui]

1. La menzogna del multitasking

Lo sapevi che una delle caratteristiche più apprezzate della nostra epoca in realtà non esiste? No, neppure nelle donne, anche se gli stereotipi dicono il contrario.

Ma facciamo un passo indietro e spieghiamo meglio. Con quel “non esiste” non intendo che nessuno possa riuscire, per esempio, a parlare al telefono mentre cucina o a rispondere a una mail controllando di quando in quando qualche notifica su WhatsApp: abbiamo esempi davanti agli occhi tutti i giorni! Ciò che intendo è che, in realtà, diversi studi hanno dimostrato che il cervello umano non è in grado di concentrarsi su più di un’attività nello stesso momento: ciò che facciamo è semplicemente saltare da un’attività all’altra con un dispendio di energie dovuto al cambio di contesto che non ritornerà più. 

Obbligare il cervello a spostarsi in continuazione tra compiti diversi fa perdere frazioni di secondo a ogni passaggio, e fa stancare più di quanto pensiamo. In effetti, secondo la ricercatrice Gloria Marks della University of California, per ogni passaggio da un’attività all’altra si perdono 23 minuti e 15 secondi per tornare al livello di concentrazione raggiunto prima del cambio di contesto. E, nota bene: è quasi un pomodoro intero, se ti ricordi la tecnica che ti ho illustrato nel secondo articolo.

Il multitasking è anche responsabile del famoso effetto Zeigarnik (dal nome della psicologa lituana Bluma Zeigarnik), vale a dire lo stato mentale ansioso causato da tutti quei compiti non terminati e che, di fatto, continuando a pensarci assorbono tutte le proprie energie psicofisiche. Pensa a interromperti ancora e ancora, aggiungendo sempre compiti nuovi, rimandando il momento in cui la tensione sarà rilasciata perché saranno chiusi, e farsi assorbire energeticamente per tutto il giorno… come non cadere preda degli “anelli aperti” (o open loops), in cui lo stress sale alle stelle perché c’è troppa roba in sospeso, da ricordare, da terminare, e troppi cerchi mentali che non vengono chiusi?

Certo, se l’interruzione è breve e il compito alternativo da svolgere è semplice o meccanico (tipo girare il mestolo in una pentola o inoltrare la stessa mail a vari indirizzi in CC) sarà meno grave. Ma visto che la maggior parte delle volte si salta da un compito all’altro che prevede messaggistica istantanea, l’essere sempre online e qualche volta pure distrazioni sui social, ecco che si arriva a sera stanchi e svuotati, avendo impiegato tante ore per risolvere cose che ne avrebbero richieste molte meno. E potrebbe essere altrimenti, dovendo stare perennemente connessi, in un limbo che non permette né di concentrarsi né di riposarsi davvero?

Anziché restare in quel limbo, bisogna abituarsi a fare le cose con più profondità e dedizione (due qualità di cui il multitasking invece è nemico), e a staccare la spina invece di usare i tempi morti per cercare di completare in modo sciatto quanti più doveri è possibile. Questa cosa in inglese si chiama stress-recovery routine, e ti assicuro che c’è un’ampia letteratura che ne illustra i benefici, che tra le altre cose si possono declinare in modi molto personalizzati.

Ma all’atto pratico come si può cercare di farlo? Beh, a parte rispolverarti i miei articoli precedenti, lascia che ti racconti delle due teste che, come l’Idra di Lerna, possiede questo mostro chiamato multitasking:

  • il micromultitasking è la tendenza a saltabeccare da un compito all’altro nel corso della giornata, concludendo meno di quanto si potrebbe;
  • il macromultitasking è la tendenza a fare “bocconi” di progetti troppo grandi, tutti insieme, rischiando di terminarne pochi e male.

Combattere il micromultitasking

Al di là delle strategie che ti ho illustrato nelle puntate precedenti, con le tecniche combinabili in una ricetta solo tua, c’è da dire che di consigli ce ne sono:

  1. Avere aspettative realistiche sulla quantità di compiti che si possono terminare in un giorno (ecco perché il Deep Work e la tecnica del pomodoro possono essere valide alleate, tenendo conto dei rischi e benefici di cui ti ho parlato), in modo da limitare la frustrazione.
  2. Imparare a gestire l’impazienza di voler padroneggiare tutto e subito.
  3. Fare tutto una sola volta con cura e poi completare il resto dei doveri, invece di fare male qualcosa, riempirsi di pause o cambi di contesto, e poi tornarci in continuazione per cercare di correggere il tiro. Al massimo ci ritornerai domani.
  4. Vedere le pause come alleate per rigenerarsi e non come un momento per abboffarsi di arretrati da smaltire.
  5. Avere l’ambiente giusto e persone che non distraggano attorno.

Combattere il macromultitasking

  1. Creare giornate tematiche, che sono salvifiche sia per risparmiare e indirizzare le energie sia per non creare confusione su quando fare cosa nel caso in cui si avessero dei sottoposti o dei colleghi con cui lavorare in team. Magari il lunedì si definiscono gli obiettivi della settimana, il venerdì lo si dedica alle noiose pratiche amministrative, un altro giorno della settimana ci si dà senza interruzioni a tutte quelle strategie utili alla crescita professionale… e queste cose, volendo, si possono trasporre anche nella propria vita privata, col giorno della spesa, dei conti, della lettura/cinema/trekking, della pulizia profonda, di qualunque tipo di terapia e riposo possibile.
  2. Conoscere molto bene i propri limiti e organizzarsi la vita in base a quelli, al posto di dire sì a qualunque progetto nuovo appaia interessante e poi esaurire tutte le energie. Un buon modo per non franare dopo è fare un check up delle proprie attività in calendario ogni tre mesi, capire se se ne vogliono abbandonare alcune perché infruttuose, e se se ne vuole aggiungere un’altra dedicare le successive tre settimane a capire se sia fattibile e se non intralci col resto. Quest’ultima cosa elimina il rischio di arrabattarsi in eterno a fare tentativi di collaudo. Tu puoi gestirti come preferisci, basta che ricordi il principio: provaci in un lasso di tempo limitato, entro confini ben definiti, in un arco temporale deciso a monte, e vedrai che libertà avrai di sperimentarti.
  3. Non continuare ad aggiungere attività alla lista di cose da fare. Rendere prioritari i macroprogetti importanti significa concedersi molto margine di manovra. Sappiamo che gli imprevisti non si possono calcolare e che programmare al millimetro fa più danni che altro, quindi non cascarci.

Come mi sono trovata io a sfidare il multitasking

Beh, io ho commesso varie volte l’errore del fare multitasking, lo ammetto. E ancora adesso corro il rischio di ricascarci, appena esco fuori dal binario. La buona notizia in tutto questo sai qual è? Che caderci (con tutti i rischi del caso di imprecisione, dimenticanze, gestione subottimale del tempo, a lungo termine possibile burnout) mi fa capire quanto devo raddrizzarmi a gestire la mia vita in generale.

Lo uso proprio come “spia” che si accende per capire quanto rischio di franare, ed è allora che mi ricordo di un’altra cosa importante: io cado nel multitasking quando ho problemi a mettere dei paletti. Tra me e ciò che devo fare, tra me e le altre persone, tra me e la parte autosabotante che ho come tutti gli esseri umani.

Vedere quei paletti come veicolo della libertà personale mi ha già rivoluzionato il modo di pensare. Ha eliminato parecchio senso di colpa quando non ero abbastanza accomodante. E, per citare un termine mutuato dalle arti marziali, ha impedito che mi facessi “rubare il centro” da troppe pretese esterne, le stesse che mi avrebbero allontanato dai doveri primari.

Che sia dire sì a troppe esigenze altrui o cercare di smaltire troppi progetti tutti insieme (magari pure degli arretrati), è sempre cercare di masticare bocconi troppo grandi e rischiare di strozzarmi. Ma, se a oggi posso dire di averci lavorato e di saper mettere paletti migliori è anche grazie alla consapevolezza di quanto io renda meglio e sia più brava senza cedere al micromultitasking nella quotidianità.

Per citare ancora Il metodo Ikigai. I segreti della filosofia giapponese per una vita lunga e felice di Héctor García e Francesc Miralles, le nuove tecnologie, che mi hanno aperto mondi e mi sono servite tantissimo per studiare, lavorare, intessere legami e trasformarmi nella persona che sono oggi, non mi servono se mi allontanano dallo stato di flusso. Quando lavoro, mi piace diventare un tutt’uno con l’attività che sto svolgendo, veder volare le ore, sentire che tutto sia una sfida divertente e nelle mie corde, sapere che sono io a controllare i mezzi che mi permettono di arrivarci e non il contrario, avere la mente abbastanza sgombra da eliminare molti ostacoli, ma farmi guidare dal compito da svolgere più di quanto non sia io a guidarlo. E so che ci arrivo molto più facilmente se prendo il mito del multitasking per il bavero e lo scaravento dalla finestra!

Nel macromultitasking, invece, ho usato la scansione dei tre mesi in cui capire se fare spazio a una nuova abitudine nella quotidianità, ricavandone abbastanza benefici (fatto sta che le mie svolte alla routine si verificano ogni tre-quattro mesi in media), soprattutto se incorporata alla consapevolezza che ci vogliono 60 giorni per creare un’abitudine. Poi, come ti ho anticipato nell’articolo precedente, è capitato che io buttassi l’organizzazione per aria per tornare a vederla come sostenibile. Fino a quel momento, comunque, posso dire che farlo, così come dividere in modo netto doveri e riposo, mi ha schiarito la mente, mi ha fatto ritagliare più ore per occuparmi delle cose e delle persone che amavo, e mi ha dato la prova di quanto effettivamente a volte ci voglia meno del previsto per completare un lavoro. Quando così non era, e invece mi ritrovavo a trascorrere più ore del previsto su un lavoro, me ne ha fatto comprendere meglio l’entità, e ne sono emersa con più rispetto per me stessa e il mio tempo, e più chiarezza sulle mie capacità.

Questo non significa che io ormai sia al di sopra delle classiche abboffate di doveri al posto di rispettare le pause e il riposo: come tutti sono un essere umano che a volte manca di costanza, è preda di distrazioni digitali (talvolta usate pure come sfogo per lo stress), ha abitudini dure a morire, e se non faccio attenzione ci posso ricascare. Il che è valido soprattutto per il micromultitasking, sono più brava a mantenere il focus sulla mia stella polare con i macrocompiti e i macroprogetti più a lungo termine. Non significa neppure che io raggiunga lo stato di flusso ogni giorno (magari, ci sono ricerche che dimostrano che sarei tra le persone più felici della Terra!). Significa però che adesso che ho una cultura in merito è molto più facile ricordarmi il perché non devo incoraggiarlo, restare centrata e provare a incrementare le abitudini salutari.

Come non mi stancherò mai di ripetere, infatti, ciò che conta non è arrivare alla perfezione. Ciò che conta per mantenersi concentrati sul lavoro è sapere cosa ci muove, perché ci muove, cosa ha più senso ed è più utile per sé, e avere la disciplina e l’amor proprio per seguirli più spesso che no.

2.   Le pause come premio

Bene, quindi se essere più “unitasking” fa risparmiare tempo significa che si lavora meno e si rende di più, vero? E questo significa anche che ci si potrà concedere più pause o una pausa più lunga al termine del lavoro, vero?

Falso.

Uno dei più grandi miti di chi si approccia alle tecniche di concentrazione sul lavoro è che le pause siano un premio che deve arrivare dopo un lavoro vigoroso, massacrante e ben eseguito. Ed è un mito che investe sia le pause giornaliere sia quelle in cui ci si concede di tirare il fiato per qualche giorno addirittura, magari al termine del mese.

Adesso, è vero che talvolta può essere necessario e gratificante dare il tutto per tutto per finire in tempo un compito, o mantenere uno slancio proficuo per un progetto. E può esserlo anche dare fondo alle proprie energie per un lasso di tempo circoscritto (giornaliero, settimanale, mensile, fa’ tu!) e poi assaporare il relax. 

Ma prendere il concetto delle “pause come premio” in qualità di modello in generale può essere molto pericoloso. Porta a stare in modalità di sopravvivenza e non concedersi respiro. Porta a fare sforzi giganteschi fino a raggiungere a lungo termine il burnout ed essere fuori combattimento per un pezzo. Porta, a lungo andare, a scompensi di salute psicofisica, insoddisfazione e infelicità, oltre a far smarrire il senso.

Siamo portati a credere che alternare il lavoro a delle pause (possibilmente in mezzo alla natura, o comunque davvero rigeneranti) conduca a un risultato sciatto, che si potrebbe sempre “fare di più”. Nella realtà un sacco di persone con piani vincenti e idee brillanti sanno bene che non rendono, non sono capaci di essere resilienti, non possono uscirsene con un buon risultato se non stabiliscono una routine salutare. E una routine salutare, comunque la si voglia impostare, è fatta di un’alternanza sacra di concentrazione lavorativa e pause in cui ci si rilassa e si stacca la mente per davvero. Giorno dopo giorno, ma anche mese dopo mese.

Da questo punto di vista i rischi del sottovalutare le pause e vederle come una gentile concessione dopo l’essersi ammazzati di fatica non è diverso dal sottovalutare i rischi di una scarsa igiene del sonno.

E tornando al discorso fatto in Ikigai di Garcia e Miralles, la capacità di prendersi delle pause è anche chiave per rimanere concentrati nel presente lavorativo in caso di compiti non particolarmente interessanti. Se diamo retta a chi dice che la noia sia mancanza di attenzione, ha molto senso il discorso sull’incentivare i momenti di microflow, vale a dire quelli in cui si gode di piccole, semplici attività quotidiane. Quelli in cui si aggiunge un pizzico di sfida a compiti abitudinari, in modo da accrescere l’interesse che si prova nel farli. Quelli in cui si ha la capacità di guardare al consueto con occhi nuovi, provare curiosità, prendere davvero in esame ciò che si sta facendo.

Indovina un po’ chi riesce più facilmente ad avere un’attenzione alta sul qui e ora, tanto da rendere il compito svolto “la cosa più importante del mondo” e aggiungere nuovi livelli di complessità solo per divertirsi? Esatto: proprio chi si concede di riposare tra un compito e l’altro, e tratta anche il suo riposo con costanza, con dedizione personale, con impegno.

E per citare le metafore sportive, i più grandi corridori sanno bene che le maratone non le vince chi corre più veloce, ma chi tira meglio il fiato.

Come mi sono trovata io ad alternare concentrazione e pause

Benissimo! Una cosa di cui vado piuttosto fiera è proprio questa: sapermele concedere essendo riuscita a sfidare senso di colpa e sensazione di non fare abbastanza. Certo, è ovvio che se la vita si mette di traverso devo dar fondo alle mie risorse e lavorare molto, così come è sempre possibile andare alla deriva. Ma anche lì, fa parte della vita, c’è da aspettarselo. E finché non vedrò l’ora di scoprire come va con la prossima pausa so che avrò ciò che serve per gestirle bene. I miei metodi preferiti e sfavoriti per riuscirci sono agli articoli precedenti: non posso che augurarti di trovare il tuo.

3.  Qualche altra osservazione

Di preconcetti e luoghi comuni se ne potrebbero trovare altri duemila. Non li cito solo perché credo che alla resa dei conti sia una scelta tua andare a indagare oppure no.

Ciò che spero di lasciarti, come suggestione molto forte, è che c’è un’altra via di fare le cose e che può portarti lontano… ma non devi prenderla per oro colato, mai.

Per esempio, la sottoscritta ha un debito di gratitudine, in questo articolo in particolare, con Riconquista il tuo tempo di Andrea Giuliodori, gli studi sullo stato di flusso di Mihály Csíkszentmihályi e Ikigai di García e Miralles, ma credi che io abbia applicato acriticamente i loro principi?

Mille volte no! Li ho sperimentati, li ho incorporati nella mia routine, ho buttato quello che non era applicabile e mi sono tenuta ciò che lo era. L’ho variato, l’ho ripreso, l’ho fuso con altri metodi che avevo già collaudato. E non mi sono mai sentita limitata da precetti altrui, perché sapevo cosa avesse senso per me.

Se è vero che qualunque impresa funziona per tentativi ed errori, lo stesso deve valere anche per noi. Con tutta la pazienza del caso.

Può essere arduo mantenere la concentrazione sul lavoro, soprattutto un lavoro da remoto, in un’epoca caratterizzata da incertezze e in cui si è sotto il tiro di innumerevoli occasioni di distrazione. Ed è per questo che entra in scena la nostra volontà di provarci.

Mantenere la concentrazione sul lavoro è qualcosa che possiamo chiamare la nostra ricetta personalizzata, oppure possiamo chiamarla alchimia.

E quale che sia la tua prossima avventura, spero che ognuna delle cose che ti ho detto ti serviranno a sceglierla sempre da te.

Silvia Genovese

Sono Silvia, una divoratrice di libri e un'estimatrice di patatine fritte caratterizzata da voice acting, editing letterario e traduzioni ENG>ITA. Nel tempo libero amo viaggiare, scrivere - cosa che faccio da quando ho imparato a tenere una penna in mano -, scattare foto agli angoletti nascosti, filosofare e le passeggiate nella natura, umana o vegetale che sia. Per buona parte del tempo vivo a Napoli, ma a dichiararlo potrebbe anche essere solo il mio solipsismo.

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