È un periodo di forti cambiamenti sociali, dovuti anche alla pandemia da Covid-19 che ha costretto molti lavoratori e lavoratrici a continuare l’attività professionale lontano dalla classica postazione di lavoro. È così che in tanti hanno iniziato a sentir parlare per la prima volta di nomadismo digitale: uno stile di vita che permette di non avere vincoli di luogo nel proprio lavoro, e quindi di svolgere la professione in qualsiasi parte del mondo, grazie a un computer, una connessione internet e una presa di corrente.
Questo fenomeno viene spesso etichettato (purtroppo) come prerogativa di una certa categoria di persone per così dire ‘libere’, in senso affettivo e pratico: con un lavoro che copre le spese per vivere e viaggiare, e il più possibile slegati dalla famiglia, intesa come partner e prole. È sufficiente fare una breve ricerca su Instagram o Facebook per accorgersi di come i social network ingigantiscano questa rappresentazione.
Un percorso che appare completamente diverso da quello di chi ha una famiglia con figli al seguito, quasi ci fossero due strade parallele destinate a non incrociarsi mai: da una parte lo stereotipo dei nomadi digitali a bordo piscina col mojito e il MacBook sulle gambe; dall’altra, quello della famiglia standard con genitori stressati e incapaci di gestire le proprie creature, che in fondo non vedono l’ora di delegare alla scuola o asilo il compito di crescere i suddetti pargoli.
Dal “Brainstorming Spettinato” del 20 luglio 2021, nel corso del quale si è parlato del concetto “nomadi digitali con figli” tra diversi appartenenti al nostro gruppo Facebook Nomadi Digitali Italiani, e dalla mia insanabile curiosità di approfondire l’argomento, è nato questo articolo. Il mio obiettivo? Dare qualche spunto di riflessione per rispondere alla domanda: una famiglia nomade digitale può esistere? E, soprattutto, la scelta dei genitori di girare il mondo si può conciliare con un tema tanto importante come l’educazione?
Piccolo spoiler: non c’è una una sola risposta a questo enorme quesito; ognuno di noi trarrà le proprie conclusioni.
Cosa dice lo stato italiano sull’homeschooling?
Per una famiglia di nomadi digitali, una prima scelta possibile per quel che riguarda l’istruzione dei figli è l’homeschooling – chiamata anche educazione parentale –, che rappresenta la situazione in cui la famiglia si fa carico dell’istruzione dei propri pargoli.
Vediamo cosa dice lo stato italiano riguardo l’homeschooling e come regolarizza la continuativa assenza dai classici banchi di scuola. Il sito ufficiale del MIUR offre una serie di indicazioni molto chiare per i genitori che decidono di adottare l’educazione parentale. Cito testualmente:
“I genitori qualora decidano di avvalersi dell’istruzione parentale devono rilasciare al dirigente scolastico della scuola più vicina un’apposita dichiarazione, da rinnovare anno per anno, circa il possesso della capacità tecnica o economica per provvedere all’insegnamento parentale.”
Questo significa che in Italia è possibile (e legale) impartire un’educazione familiare ai propri figli senza portarli a scuola, a patto di rispettare le regole previste dai relativi decreti legislativi. Di seguito ne indico solamente alcuni che possono interessare i genitori che per primi si avvicinano al mondo dell’homeschooling e che si trovano in una situazione del tutto nuova:
- Decreto legislativo 25 aprile 2005, n. 76, art. 1, comma 4: le famiglie che – al fine di garantire l’assolvimento dell’obbligo di istruzione – intendano provvedere in proprio all’istruzione dei minori soggetti all’obbligo devono mostrare di averne la capacità tecnica o economica e darne comunicazione anno per anno alla competente autorità, che provvede agli opportuni controlli”. Pertanto, la scuola non esercita un potere di autorizzazione in senso stretto, ma un semplice accertamento della sussistenza dei requisiti tecnici ed economici;
- Decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62, art. 23: in caso di istruzione parentale, i genitori dell’alunna o dell’alunno, della studentessa o dello studente, ovvero coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, sono tenuti a presentare annualmente la comunicazione preventiva al dirigente scolastico del territorio di residenza. Tali alunni o studenti sostengono annualmente l’esame di idoneità per il passaggio alla classe successiva in qualità di candidati esterni presso una scuola statale o paritaria, fino all’assolvimento dell’obbligo di istruzione.
Per riassumere, una famiglia di nomadi digitali che vuole occuparsi direttamente dell’istruzione dei propri figli può farlo, recapitando annualmente una comunicazione scritta al dirigente della scuola nel territorio di residenza e sostenendo un esame alla fine dell’anno scolastico per dimostrare l’idoneità dei ragazzi.
Diversi tipi di educazione parentale
L’homeschooling non è l’unico tipo di educazione parentale: esistono altri metodi per genitori che non vogliono affidare i propri figli e figlie alla scuola. Il primo è l’unschooling, che può essere visto come alternativa più radicale all’homeschooling. Se quest’ultimo deve rispettare un programma prestabilito, l’unschooling si riferisce, invece, a quelle famiglie che lasciano ai figli la possibilità di imparare seguendo solamente le proprie passioni e curiosità. Nessuna scaletta: sta a loro decidere cosa, come e dove imparare.
Nel libro Homeschooling di Erika Di Martino, si legge:
”Nell’ultimo decennio è stato coniato un altro termine ancora più specifico: Radical Unschooling, ovvero ‘la frangia estrema dell’Educazione Parentale'(…). In questo caso la nave del sapere è pilotata dal bambino. I genitori offrono il loro supporto e gli strumenti per trovare le informazioni rispettando le scelte e i tempi dei propri figli”.
Ma c’è una terza possibilità: il worldschooling dove, come dice la parola, sarà il mondo intero a fornire un’istruzione attraverso il viaggio a tempo pieno. Quello che fa un genitore “Worldschooler” rispetto agli altri è aiutare la prole a trarre insegnamenti dalla natura, dalle diverse culture e dal viaggio stesso. E sono dell’avviso che possano dare delle risposte certamente più reali e concrete rispetto a un libro scolastico.
Queste sono idee e possibilità che si possono considerare per l’educazione dei propri figli, in base al tipo di cultura che gli si vuole trasmettere.
…e la DAD?
Spesso si parla della DAD – la didattica a distanza – come di un sistema poco funzionale, eppure mi sorge un dubbio: se si riuscisse a farla funzionare bene e non solo in situazioni d’emergenza? A trasmettere agli studenti la consapevolezza che si tratta solo di un altro modo di fare lezione, a cui seguiranno prove e verifiche? Io credo che se la DAD fosse sviluppata meglio potrebbe servire a una vera e propria forma di istruzione a distanza ideale per una famiglia di nomadi digitali. Provate a immaginare: una didattica pubblica, sicura e garantita! In fondo non è inverosimile pensare che la DAD possa continuare a esistere a prescindere dalla fine della pandemia. E la scuola pubblica – nella mia esperienza di genitore – dovrà adeguare i propri (spesso scarsi) strumenti e formare un personale scolastico a volte refrattario alla tecnologia.
Immaginiamo che una bambina di dieci anni, in giro per il mondo con i genitori, possa seguire le lezioni della sua scuola di un piccolo paese di provincia, studiare, fare le interrogazioni e i compiti in classe, senza essere fisicamente presente, e restare al passo grazie alla tecnologia. E senza andare troppo in là con i pensieri immaginiamo come, grazie alla DAD, potrebbero seguire le lezioni anche i suoi compagni impossibilitati per altri motivi e quindi forzati a rimanere assenti per diversi giorni. Chissà quali scenari potrebbero realizzarsi poi per i gradi d’istruzione più alti, come scuola media, superiore e persino l’università, dove si potrebbero davvero sfruttare i vantaggi di un sistema integrato per l’erogazione di una formazione multimediale – la FAD. Sarebbe uno scenario così improbabile e indesiderabile?
A dimostrazione di quanto dico, su Change.org si è addirittura attivata una petizione per far proseguire le scuole superiori a distanza fino alla fine dell’emergenza sanitaria che ha più di 220 mila firme a gennaio 2022.
Riflessioni
Permettetemi un’ulteriore riflessione: si presume che chi diventa genitore sappia che la sua vita cambierà, anzi che verrà stravolta dall’arrivo di uno o più bimbi. Dal primo momento in cui la creatura è al mondo è compito del genitore prendersene cura e capire (non senza difficoltà) quali sono i percorsi più giusti da intraprendere. Ogni genitore sa perfettamente (o impara presto) che ci saranno le crisi di pianto nel pieno della notte, il cambio dei pannolini, la poppata e poi i momenti della ribellione e dello studio. Tuttavia essere una famiglia nasconde un significato ben più profondo, soprattutto in un periodo di forti cambiamenti e tensioni come quello che stiamo attraversando: la famiglia dovrebbe essere un posto sicuro, dove non si lesina l’ascolto e dove la presenza riveste un ruolo essenziale.
Il domani è un continuo mutare (per fortuna) anche in ambito professionale: secondo il sito ForumPA il futuro del lavoro sarà interconnesso, integrato e capace di esulare dal tipico ufficio lasciando alle persone più tempo per dedicarsi alla famiglia e ai propri interessi, lavorando da casa, nelle caffetterie, nelle biblioteche oppure nei vari coworking sparsi per il mondo.
Riuscendo a trascorrere più tempo in famiglia, sarà più facile riuscire ad ascoltare i propri figli che spesso e volentieri vengono ‘parcheggiati’ davanti a smartphone e tablet nei pochi momenti in cui non sono impegnati tra scuola, doposcuola, compiti e attività sportive. A mio avviso è proprio l’ascolto che manca all’interno delle famiglie: l’essere presenti e affrontare ogni momento e situazione di comune accordo, non come elementi che si riuniscono sotto lo stesso tetto solo la sera, stanchi dopo una giornata passata fuori casa. Vista così non importa quanto si viaggia, se si sceglie di fare homeschooling oppure worldschooling.
La scelta giusta non esiste, quella ideale tanto meno. Prendiamo due casi opposti che comportano rinunce differenti ma ugualmente importanti. Compiere il giro del mondo può essere un’esperienza incredibile per chiunque la viva, non è scontato però che i figli ne trarranno qualche insegnamento. Nessuno ha la certezza che in fondo non vogliano ‘soltanto’ vivere la propria adolescenza con gli amici del quartiere! Viceversa ad altri bambini potrebbe giovare scoprire cosa c’è oltre il mondo che conoscono e passare più tempo fuori casa, evitando la tentazione della TV. A seconda dell’indole di ciascuno, entrambe le scelte potrebbero risultare imposte e dunque altrettanto frustranti per i figli. Una soluzione? Forse (anzi, quasi certamente) si dovrebbe partire dalla domanda: “cosa potrei fare per il bene dei miei figli?”. A voi le risposte!
Mi auguro che da questo articolo possa nascere una sana e pacifica discussione, essendo questo un argomento ancora acerbo nel nostro paese. Se volete scrivermi in privato potete farlo all’indirizzo matteonagi84@gmail.com.
Felicidad!
Chi è l’autore di questo articolo
Mi chiamo Matteo – in arte Nagi – e vivo in un piccolo paesino in provincia di Ferrara. Sono appassionato di tecnologia e lavoro da remoto. Il mio lavoro consiste nell’insegnare l’informatica a tutte le persone, di qualsiasi età. Ho una moglie Tania, una figlia Violante e due cani Leo e Achille
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Un ringraziamento a Clara Lobina e Irene Mascìa per il loro ottimo lavoro di revisione del testo. Puoi contattarle su LinkedIn: