Università e Nomadismo Digitale: storia di una tesi di laurea

Qualche tempo fa un giovane entusiasta ha deciso di comunicare al gruppo NDI la sua conquista: quella di essere in procinto di ottenere una laurea in Scienze e Tecnologie della Comunicazione. La particolarità è che lo stava facendo con una tesi dedicata proprio ai Nomadi Digitali.

Matteo Maini era felicissimo di condividere questo obiettivo. E il suo impegno è stato ricambiato con l’interesse di moltissimi mebri del gruppo, che gli hanno chiesto di leggere la tesi. Il punto di vista di Matteo è infatti quello di molte persone che condividono la sua posizione: gli aspiranti ND, quelli che si stanno interessando a questo mondo e che vorrebbero approcciarlo, magari ci stanno già lavorando, ma ancora non hanno una cognizione completa del fenomeno.

Lo stesso Matteo dice “non mi posso definire un nomade digitale al 100%, ma sono un fanatico della tecnologia e di tutto quello che riguarda la possibilità di lavorare da remoto, e ho fatto anche dei brevi periodi di prova all’estero”.

Matteo Maini, tesi sul nomadismo digitale
Matteo Maini guarda al futuro del lavoro in remoto

Noi eravamo molto incuriositi dalla tesi e gli abbiamo chiesto di leggerla. Abbiamo trovato davvero interessante il suo studio fatto sia di dati analitici, che di racconto di esperienze in prima persona. E per questo abbiamo deciso di invitarlo al Meetup Online NDI che abbiamo tenuto lo scorso 6 novembre, per discutere un poco di quello che ha imparato lavorando sulla tesi.

In cinque minuti Matteo ha suscitato l’interesse di tantissimi dei partecipanti, che gli hanno chiesto di poter leggere la sua tesi. E allora ci siamo detti: perché non lasciare che ci racconti anche un poco del suo dietro le quinte? Di cosa lo ha spinto a scegliere questo argomento, com’è stato accolto dal mondo accademico, e cosa si è portato a casa dall’esperienza?

Non solo, ma Matteo ci ha messo a disposizione la tesi e parte del suo materiale di studio, per farlo leggere a chiunque sia interessato. E noi abbiamo deciso di condividerlo con tutti gli iscritti al sito ndi.life.
Non sei ancora iscritto? E allora leggi il racconto di Matteo, e poi fiondati subito in home page per diventare parte della nostra community ed avere accesso alla cartella con i contenuti riservati!

E adesso, vi lasciamo alle parole di Matteo.

Perché la tesi sul Nomadismo Digitale

Partiamo dal principio: in una fredda, umida e nebbiosa notte emiliana del 2017 ho trovato per la prima volta e per puro caso, l’accoppiata dei termini “Nomade Digitale” attraverso una delle mie ricerche per vincere l’eterna battaglia contro l’insonnia.

Onestamente non ricordo in quale sito, articolo o blog sono arrivato per la prima volta a capire effettivamente la definizione di questa filosofia di vita. Ma una cosa è certa, fu subito un colpo di fulmine.

Nei mesi a seguire non feci altro che leggere nuovi articoli inerenti al Nomadismo Digitale e libri che raccontassero storie, cercando di approfondire ogni aspetto legato a questo mondo.

Ogni qualvolta riuscivo a trovare ulteriori argomenti specifici la mia carica emotiva aumentava, sempre più attratta dall’idea di poter viaggiare per il mondo riuscendo non solo a lavorare, ma a monetizzare su qualcosa che mi piacesse. Insomma, unendo veramente l’utile al dilettevole.

La sfida

La vita però ci pone sempre davanti delle sfide, tante volte decise proprio da noi. Pochi mesi prima dalla mia “grande scoperta” mi iscrissi all’Università di Ferrara per intraprendere quello che fu a tutti gli effetti un mio sogno di sempre: laurearmi.

Ricapitolando: da una parte studiavo per gli esami, dall’altra vivevo, lavoravo e nel (poco) tempo libero avevo fame di conoscenze su quelle persone che riuscivano a compiere quella vita che, in fin dei conti, speravo di fare anche io.

Come se tutto questo gran daffare non bastasse, a luglio 2018 nacque mia figlia Violante, che ha sconvolto (in meglio) tutti i piani che mi ero prefissato.

Non ho mai considerato l’idea che una figlia fosse un ostacolo al raggiungimento dei miei obbiettivi. Anzi, mi resi conto che volevo renderla una “cittadina del mondo”, farle capire cosa ci fosse dietro al desiderio del viaggiare piuttosto che posizionarla per ore davanti ad una televisione.

Con tante fatiche e sudore arrivo alla fine del secondo anno accademico sapendo perfettamente quale sarebbe stata la tesi del terzo anno: un elaborato finale sul Nomadismo Digitale.

Oggettività, questa sconosciuta

Nel momento della partenza sul lavoro della tesina mi consultai con la mia relatrice che mi diede indicazioni ben specifiche e consigli preziosi. Ammetto che senza di lei, per quanto la tesi possa risultare ancora acerba, da approfondire e modificare, non sarei riuscito a compiere tutti questi passi.

Mi trovai ad affrontare una situazione piuttosto bizzarra: il mio lavoro doveva essere oggettivo, esemplificativo, privo di emozioni, che fosse proprio come un manuale di fisica. E, ammettiamolo, è difficile trovare del materiale perfetto per tale scopo.

Esistono libri che raccontano storie personali, cambiamenti della propria vita che sono stupendi e mi hanno fatto compagnia per diverso tempo. Purtroppo non servivano per la tesi: avevo bisogno di spiegazioni razionali sulla nascita di tale filosofia, sul modo pratico di vivere e altro materiale che potesse essere più vicino al 2020, anno in cui è stato scritto l’elaborato.

Non potevo contare nemmeno sul primo libro che ha dato il via a tutto, cioè “Digital Nomad” di Makimoto e Manners perché risale al lontano 1997 e sappiamo perfettamente che la tecnologia si evolve ogni settimana, figuriamoci dopo più di 20 anni!

Così, con grande fatica, mi affidai alla “sacra rete” accorgendomi fin da subito di quante stranezze avrei dovuto scartare e, ripeto, rimanendo sempre oggettivo senza lasciarmi coinvolgere emotivamente dalla situazione.

Lo dico subito, in rete si trova di tutto ed il suo contrario:

  • soluzioni per avviare un’attività in pochissimo tempo con guadagni “facili”;
  • quelli/e perennemente in “piscina, Mac e Mojito” (mannaggia ad Instagram);
  • crociere per Nomadi (non so, l’idea della crociera la trovo poco nomade);
  • quelli che dicono “Scrivimi in DM e ti dirò come lavorare, sentirti libero e felice di viaggiare”;

Insomma, ci vuole poco per incappare in un’idea che sia diversa dal vero ND.

Sviluppo della tesi

Cercando su fonti veritiere ho dovuto intraprendere una strada che non coinvolgesse solamente i/le Nomadi Digitali, ma che comprendesse anche il lavoro da remoto, definizioni, nozioni di informatica, tecnologia, dati sui freelance, guardando anche indietro per descrivere varie parti storiche di come la società del lavoro sia cambiata (parlo del XIX secolo).

Insomma, pensavo di rendere il mio lavoro più esauriente possibile a costo di farlo andare un po’ fuori strada. Volevo spiegare ai non addetti ai lavori quanto il mondo del lavoro sia cambiato, stia cambiando tuttora, quali sono stati i passaggi importanti di questo cambiamento, quali sono le grosse opportunità di lavoro che abbiamo al giorno d’oggi. E quanto il nomadismo digitale spezzi del tutto le catene della routine che fino ad oggi ci ingabbiano in una società composta prevalentemente da quelle che io definisco le 3 C: campare, consumare e crepare.

Volevo anche dare una piccola traccia che spiegasse quale potenza abbia assunto la tecnologia oggi e come possa effettivamente aiutare chi voglia intraprendere una attività da remoto. Ma comunicare anche, allo stesso tempo, che non bisogna aspettarsi risultati immediati, perché è un percorso graduale, basato su studi, aggiornamenti, prove, errori e tante esperienze di vita e lavorative.

Infine ci tenevo a dare uno scossone psicologico alle immagini dei ND che non hanno molto a che vedere con il nomadismo puro. Quelle che si trovano su Google digitando “Digital Nomad”: rappresentazioni piene di falsi luoghi comuni che danno un’immagine sbagliata del fenomeno.

Nomade digitale in viaggio

Il valore delle interviste

A metà della mia opera pensai che un testo senza voci di persone che sono attualmente ND avrebbe avuto ben poco da dire. Così colsi l’occasione di sfruttare le grandi potenzialità dei social per contattare Simona Camporesi, Jonathan Pochini, Francesco Grandis e Gianni Bianchini per fare loro qualche domanda circa la loro opinione ed esperienza sul nomadismo digitale.

Senza troppi indugi e riguardi mi hanno risposto veramente in tempi brevi! Potevo scrivere in maniera oggettiva finché volevo, ma le loro voci hanno cambiato la mia tesi, rendendola viva. Con la loro testimonianza ho avuto la conferma di quanto il nomadismo digitale sia proprio uno “stato della mente”, un qualcosa che vivi senza per forza dimostrarlo al mondo intero ma che senti dentro di te e si alimenta giorno dopo giorno.

Covid e mondo accademico

Mentre scrivo la tesi e mi muovo per le interviste, a marzo 2020 arriva il Covid.

La pandemia – e la conseguente quarantena – ha completamente confermato quanto stavo scrivendo: lavorare da remoto, in tantissimi casi, si può fare. E anche se non puoi essere ND, è comunque possibile nel lavoro avere un enorme supporto grazie alla digitalizzazione (avete mai sentito parlare di Risso, corniciaio di Chiavari, ad esempio?).

Finita la tesi in fretta e furia, dovevo però scontrarmi con il mondo accademico e reale, sperando in una certa comprensione.

Durante la discussione della tesi sono stato sommerso di domande legate dal filo rosso dello scetticismo. Un quesito in particolare era pressappoco così (giusto per darvi una linea guida della mattinata): “Il nomadismo digitale è un qualcosa che ritiene essere specifico per VIP o gente benestante?”.

La prima impressione che ho avuto dopo aver cliccato il pulsante rosso per chiudere la videochiamata con Google Meet è stata: la mia era una tesi qualunque, anzi una delle tante che, purtroppo, non aveva sortito nessun tipo di curiosità da parte del mondo accademico e reale.

Sensazione che è durata qualche giorno per poi trasformarsi in una frase liberatoria: “Sai che ti dico? Va bene così e chissenefrega!

Lezioni di vita

Dallo studio per questa tesi ho imparato diverse piccole lezioni di vita che porterò avanti per la mia strada:

  1. Non esiste età o qualsiasi altra forma di differenziazione per il ND, è la più bella e naturale forma di “amalgama sociale“ che ci sia sulla faccia della terra.
  2. Se sei ND, o se vuoi intraprendere questa strada, significa che la tua mente è pronta a tutto, resiliente ed è pure capace di resistere ad una pandemia mondiale senza subire troppi effetti negativi della società mantenendo la testa sulle spalle.
  3. La tecnologia non è quel mostro che i media vogliono dipingere, anzi, se conosciuta e usata correttamente ti permette di fare cose che nemmeno immagini.
  4. Il più grande ostacolo per chi vuole lavorare in remoto non è la formazione, la strumentazione o il tipo di lavoro, ma la mentalità arretrata della società che ci circonda.
  5. No, non si è obbligati ad andare in ufficio o sul posto di lavoro, e se lo fai, be’, rileggi il punto 4.

Conclusione

Purtroppo non sono in grado di prevedere cosa ci aspetta nel futuro, ma una cosa è certa: il Covid ha cambiato per sempre la nostra normalità (sarebbe anche ora di capirlo). E questo è il momento ideale per me per pensare di lavorare senza l’obbligo di stare seduto sulla mia sedia in ufficio o in azienda, di spostarmi in auto o treno a chilometri di distanza per poi tornare ogni sera a casa, quando potrei svolgere il mio lavoro ovunque: in un coworking, in un BnB a Bali oppure semplicemente in casa mia, guardando dalla finestra mia figlia che corre e si diverte.

Dal canto mio, che opero come insegnante di informatica, non ho dubbi sul fatto che il futuro che mi attende sarà sempre più in remoto. La mia azienda sta iniziando a cogliere questo fattore fondamentale ma, in ogni caso, questa è la mia strada con o senza di lei.

Voglio chiudere questo lungo articolo con la citazione finale della mia tesi che, secondo me, rappresenta in pieno il nomadismo digitale nel mondo. È un estratto di un articolo sulla società liquida di Bauman scritto dal maestro Umberto Eco:

“C’è un modo per sopravvivere alla liquidità? C’è, ed è rendersi appunto conto che si vive in una società liquida che richiede, per essere capita e forse superata, nuovi strumenti. Ma il guaio è che la politica e in gran parte l’intellighenzia non hanno ancora compreso la portata del fenomeno.”

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Redazione
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