1. Arianna, in due parole: chi sei? Dove ti trovi attualmente e in cosa consiste la tua attività?
Mi chiamo Arianna, romagnola ma ‘zirandlona’ (che potrebbe essere tradotto come ‘nomade’ per i non romagnolo-parlanti), e attualmente mi trovo a Bali. Sono una copywriter freelance e mi occupo soprattutto di scrittura per il web – dai blog ai testi per siti web, dalle landing page alle campagne email, passando per le varie sfumature che stanno nel mezzo – in italiano e inglese.
2. Cosa ti ha spinto a diventare nomade digitale e qual è il percorso che ti ha portato fin qui?
Fino a qualche anno fa lavoravo come psicologa infantile e insegnante privata, e i viaggi erano ‘solo’ una delle mie tante passioni insieme alla scrittura, alla cucina e alla fotografia – giusto per citarne alcune. Più il tempo passava, però, più sentivo la motivazione diminuire: a un certo punto il pensiero di andare in studio tutti i giorni è diventato pesantissimo, e mi sono accorta che non davo più il meglio di me come qualche tempo prima. Sentivo il bisogno di essere libera, di viaggiare di più, di fare qualcosa che fosse più in linea con la persona che ero in quel momento.
All’epoca avevo già un blog, in cui parlavo principalmente di cibo e viaggi, e mi sono chiesta se e come monetizzarlo. Nel fare ricerche, ho scoperto qualcosa che non mi aspettavo: esistevano professionisti pagati per scrivere i blog altrui! Cosa poteva esserci di meglio, per una che aveva passato la sua vita a scrivere diari (prima off, e poi online) e storie? Allora ho iniziato a formarmi, a sperimentare, a partecipare a workshop, a confrontarmi con chi faceva già quel mestiere e a cercare i primi clienti. E nel giro di pochi mesi sono riuscita ad avere abbastanza lavoro da poter mollare i bambini (con tutto l’affetto del mondo) e a diventare ufficialmente una copywriter giramondo.
3. Elenca tre pro e tre contro dell’essere nomade digitale.
PRO
- La libertà di poter decidere di spostarti dove vuoi e quando vuoi (va beh, Covid permettendo) per poter – fra le altre cose – saltare a piè pari l’inverno come gli uccelli migratori.
- La bellezza di entrare in contatto con realtà così diverse da quella da cui provieni, ma a loro modo così simili a te.
- La flessibilità che sviluppi grazie a tutte le situazioni impreviste o scomode che ti trovi ad affrontare.
CONTRO
- La complessità legata al mantenere vive le relazioni significative con chi resta a casa e al costruirne di nuove, che vadano oltre la conoscenza superficiale, nel luogo in cui ti sposti.
- La quantità di ore passate al pc, quando vorresti solo goderti il posto meraviglioso in cui ti trovi.
- Le situazioni impreviste di cui sopra, tipo internet che smette di funzionare proprio prima di una call o di consegne urgenti, l’elettricità che salta quando hai telefono e computer scarichi, o i galli che ti tengono sveglia la notte nei periodi meno opportuni.
4. Parliamo di comfort zone. Se potessi insultarla, maltrattarla o sbeffeggiarla (anche simpaticamente) usando 3 parole per descriverla, quali sarebbero?
Bastano due? Le direi che è una simpatica canaglia! Sempre lì che cerca di abbracciarti e tenerti stretta a sé, mentre tu vorresti divincolarti perché ti hanno insegnato che non bisogna mai sedersi sugli allori.
In realtà, però, devo dire che le voglio bene: in fondo, per me, viaggiare è una continua ricerca di nuove piccole zone di comfort sparse per il mondo. Quando ne trovo una, lì lascio un pezzettino di cuore e so che potrò tornare a prenderlo in futuro, quando sentirò il bisogno proprio di quel comfort specifico che non potrei trovare da nessun’altra parte.
Con Bali mi è successo proprio così, fin dalla prima volta in cui ci ho messo piede. Ora sono al mio quinto ritorno, e ogni tanto mi chiedo se la mia scelta di fare avanti e indietro da qui non sia troppo comoda. Poi succede che mentre lo penso salta internet, un geco gigante mi compare davanti al naso, la casa viene invasa dalla puzza di rifiuti bruciati, io vorrei lamentarmi di queste cose col moroso che ho lasciato in Italia ma mi rendo conto che da lui è notte… e mi ricordo che, in fondo in fondo, in tutte le situazioni che mi scelgo c’è un po’ di comfort e un po’ no. Se no, che gusto ci sarebbe?
5. Pensi che l’essere nomade digitale possa avere un’influenza sulla nostra società?
Mi piacerebbe molto, ma non so che percentuale della popolazione mondiale (o per lo meno italiana) sia effettivamente pronta a fare una vita di questo tipo. In Italia siamo ancora tanto tradizionalisti e legati alla classica visione di laurea-ricercadelpostofisso-casa-mutuo-famiglia: già il fatto che con la pandemia si sia passati allo smart working (che tra l’altro è un termine tutto nostro, che nel resto del mondo non significa nulla) è sembrata una rivoluzione… figuriamoci l’idea di non avere una casa e girare il mondo a tempo indeterminato! Anche quelli che ti dicono che invidiano il tuo stile di vita, in realtà, nella maggior parte dei casi non sarebbero disposti a sobbarcarsi tutta l’incertezza che porta con sé. Perché essere nomadi digitali non è mica tutto rose e fiori, anche se forse dai nostri profili Instagram non si direbbe.
Ecco, quello che spero è che piano piano i ruoli fissi e rigidi che sono esistiti finora nella nostra società diventino più fluidi. Che si capisca che non è importante dove si lavora e per quante ore al giorno, ma quali obiettivi si raggiungono. Se sono produttiva e non manco una scadenza, cosa importa se lavoro dall’ufficio di una città grigia o da una casa al mare, e se ci impiego un’ora anziché quattro? Flessibilità al servizio di un maggiore benessere psicofisico: se la società riuscirà ad andare in questa direzione, secondo me avremo fatto un bel passo evolutivo in avanti.
6. Nel futuro ti vedi ancora nomade o pensi che vorrai stabilire il tuo nido da qualche parte?
Io in realtà – lo confesso – sono una nomade a metà, nel senso che ho un appartamento in provincia di Ravenna che uso come base. Di solito ci trascorro l’estate e poi mi sposto altrove, al caldo, dall’autunno alla primavera. La mia vita futura, almeno per qualche anno ancora, la vedo più o meno sempre così: viaggi di alcuni mesi per seguire i desideri del momento, ed estati italiane (ché la Romagna d’estate non è malaccio, diciamolo!).
7. Qual è il consiglio più prezioso che daresti a chi vuole intraprendere la tua strada o professione?
Sono consigli validi per tutti quelli che vorrebbero lavorare da remoto ma non sanno da che parte iniziare, non solo per i futuri copywriter.
Prima di tutto cerca di capire cosa ti piace fare, cosa ti appassiona: nei prossimi anni dovrai dedicare parecchio tempo a quell’attività, quindi non scegliere per convenienza ma basati su ciò che senti davvero di amare. Dopo di che studia, sì, ma soprattutto buttati nella mischia. Parla con chi ha già fatto un percorso simile al tuo, non avere paura di chiedere, confrontati con gli altri, fatti conoscere. Inizia a mettere le mani in pasta e a sperimentare ciò che stai studiando, offri i tuoi servizi a dei clienti fin da subito per farti le ossa e costruirti un portfolio. Fa’ il passo un po’ più lungo della gamba: scoprirai che a volte basta solo un po’ di coraggio e che quella gamba in realtà era già lunga abbastanza per portarti dove volevi arrivare.
8. Hai un aneddoto da raccontarci, magari una piccola disavventura che ti è capitata in viaggio e che successivamente si è dimostrata una grande lezione?
Non è un vero e proprio aneddoto, ma una constatazione legata a una festività. Detta così non ha molto senso ma ne avrà a breve: lo prometto.
Una delle festività più importanti di Bali è il Nyepi, il “giorno del silenzio” che – per farla molto breve – è dedicato al raccoglimento e alla riflessione. Ventiquattr’ore ore scandite da regole molto precise: non si può uscire di casa né usare l’elettricità, tecnicamente non si potrebbe neanche cucinare e non ci si dovrebbe dedicare ad attività di intrattenimento. Persino l’aeroporto chiude, durante il Nyepi, e nelle strade di Bali – sempre piene di chiassosi motorini – cala davvero il silenzio. Negli ultimi anni, per rendere l’atmosfera più intensa, è stato anche staccato internet sull’isola. Un’isola stracolma di nomadi digitali, che sono impazziti in massa la prima volta che questo è successo, come se non potessero sopravvivere un solo giorno senza connessione. Beh, posso dire che in effetti è strano, ma è stata anche un’esperienza interessante. Per una volta, sei davvero obbligato a non lavorare – a meno che tu non possa farlo offline, ovviamente – e a goderti il momento. Le risate che mi sono fatta coi miei coinquilini nel giorno del Nyepi, le chiacchiere ininterrotte (ma a bassa voce… più o meno), le cene al buio e i cieli stellati con la Via Lattea visibile a occhio nudo non credo li dimenticherò mai.
Cosa mi hanno insegnato? Che, anche se passiamo la maggior parte delle nostre giornate attaccati a un computer, la vita vera è fuori dallo schermo e bilanciare i due aspetti è fondamentale. E che ritagliarsi un po’ di tempo per godere di una risata o per cercare le stelle cadenti aiuta a mettere tutto nella giusta prospettiva.
Banale? Forse, ma ogni tanto credo abbiamo bisogno che arrivi qualcosa a ricordarcelo… o, per lo meno, questo vale per me. 🙂
9. Se la tua vita fosse un messaggio che dai al mondo, che messaggio sarebbe?
Non mi sento così saggia da poter lasciare messaggi al mondo attraverso la mia vita, ma se c’è qualcosa in cui credo fermamente è che ognuno di noi è artefice della sua felicità. Non possiamo delegarla ad altri credendo che ci renderanno felici, né rimandarla a domani aspettando di ottenere qualcosa che ci manca, e nemmeno rimanere passivi sperando che piova dal cielo. Siamo noi per primi a doverci costruire una vita che ci soddisfi: cerco di tenere a mente questo principio, ogni volta che prendo una decisione e faccio un passo in una direzione precisa. Quindi se proprio dovessi dare un messaggio, sarebbe questo!
10. Sei felice?
Alla luce di quello che ho detto prima, sì, sono felice. Che non vuol dire che mi svegli allegra e zompettante ogni giorno, anzi: chi mi conosce sa che non mancano le occasioni in cui la mia indole brontolona e talvolta malinconica prende il sopravvento. Per non parlare della difficoltà di gestire una relazione a distanza con sei ore di fuso orario di mezzo.
Il fatto è che la felicità, per me, non è un punto d’arrivo ma un percorso. Ogni giorno vivo la vita che ho desiderato e mi sono costruita, e che continuo a modellare in base alle mie esigenze passo dopo passo, e il fatto che tutto sia una mia scelta mi rende felice. Ogni giorno cerco di godermi le piccole cose e di essere il più possibile presente nel momento, e questo mi rende felice. Ogni giorno mi sento grata perché ho la fortuna di poter cambiare ciò che non mi soddisfa, e questo mi rende felice.
Quindi sì, anche nelle giornate in cui sembra che tutto vada storto – che ci sono, eccome! – sotto sotto sono felice, perché so che fanno parte del percorso che ho scelto per me. Perché, come dice una poesia che ho letto ultimamente sul web, “ci vuole coraggio a essere felici”… e io sono felice di averlo, quel coraggio.
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Un ringraziamento a Dorotea Cerra per il suo ottimo lavoro di revisione del testo. Per saperne di più, contattala tramite il suo sito IndieScribing.it.