1. Francesco, in due parole: chi sei? Dove ti trovi attualmente e in cosa consiste la tua attività?
Sono ex di molte attività diverse, ognuna delle quali è stato il gradino d’appoggio per arrivare alla successiva. Sono partito dall’ingegneria informatica per arrivare al mondo delle parole: oggi sono scrittore (scrittorucolo) e fondatore di una casa editrice, e vivo in Spagna con la mia famiglia.
2. Cosa ti ha spinto a diventare nomade digitale e qual è il percorso che ti ha portato fin qui?
La staticità del mio primo lavoro. Ero un ingegnere informatico e lavoravo nel campo della robotica industriale: stress, orari assurdi, trasferte massacranti… sai come va. In seguito a una crisi personale nel 2009 ho mollato il lavoro, fatto il giro del mondo da solo, e capito un po’ di cose sulla vita. La libertà di gestirmi gli orari e di spostarmi a volontà è diventato un criterio indispensabile per la mia “nuova vita”, e il nomadismo digitale ha rappresentato il collegamento perfetto tra quello che sapevo fare e quello che volevo fare.
Sono stato quindi programmatore “nomade” per quattro anni, poi il primo esperimento di comunicazione con il blog Wandering Wil nel 2013, e nel 2015 “Sulla strada giusta”, il mio primo libro (attualmente anche l’unico, ma ancora per poco). Dal mondo delle parole non sono più uscito: la mia recentissima decisione di diventare anche editore, con AltreVoci Edizioni, è stata una conseguenza inevitabile. Nel frattempo ho anche messo su famiglia, per cui la mia parte più nomadica ha un po’ rallentato.
3. Qual è stato l’ostacolo maggiore che hai dovuto affrontare e come lo hai superato?
La paura: di cambiare, di fallire, dell’opinione altrui, di finire peggio di come avevo cominciato. Ma una volta superata la paura per la prima volta diventa sempre più facile: è una specie di esercizio su cui ci si può allenare. Come ci sono riuscito? Nel mio caso credo sia stato il viaggio, e la distanza che ha creato, ma non quella geografica: quella tra la persona che ero e quella che stavo diventando. Osservare da lontano il quadro complessivo della mia esistenza mi ha aiutato tantissimo a fare ordine.
4. Elenca tre pro e tre contro dell’essere nomade digitale.
PRO
Libertà di viaggiare, di gestirti gli orari, di fare fondamentalmente quel che ti pare.
CONTRO
Boh. L’unico che mi viene in mente è far capire agli altri quando stai lavorando o quando no. Tutti gli altri sono così irrilevanti che non meritano una menzione.
5. Cosa significa per te essere nomade digitale? Qual è il tuo stile di vita, la filosofia esistenziale che ti accompagna nel tuo nomadismo?
Ultimamente mi sposto molto poco per via della mia dimensione familiare, eppure mi considero ancora nomade. Perché? Perché non ho perso la libertà che il nomadismo mi permette. Magari non la esercito, ma è ancora mia: se domani con la mia famiglia volessimo andare a vivere in un altro Paese, non sarà il mio lavoro a ostacolarci. Esserne consapevole per me è importante. Mi sento libero anche da fermo: la porta della mia gabbia è sempre aperta.
6. Pensi che l’essere nomade digitale possa avere un’influenza sulla nostra società?
Credo che una maggiore libertà di scegliere sia sempre positiva. Non saprei se questo possa avere una influenza molto profonda sui tradizionali schemi sociali, rigidi per natura, ma vedo sempre più persone interrogarsi su se stesse, e anche questo è un bene. “Il mio amico lavora dalla Thailandia: perché io sto marcendo in periferia di Milano?”
Quando inizi a farti domande, sei già sulla buona strada.
7. Qual è il consiglio più prezioso che daresti a chi vuole intraprendere la tua strada o professione?
Non arrendersi alla prima difficoltà (anche se questo è un consiglio che va bene per qualsiasi cambiamento). È possibile che tu non sappia una lingua estera, o che ti manchi una specializzazione: studia. Probabilmente non stiamo parlando di fisica quantistica, ma di qualcosa che puoi acquisire in qualche mese, al massimo qualche anno. Comincia subito.
8. Il tuo libro è stato un successo incredibile, meritato e quasi vissuto collettivamente. E, soprattutto, ha rappresentato un caso di autopubblicazione che ha funzionato. Per molti non è stato invece così. Secondo te qual è stata la chiave del successo?
Non posso esserne sicuro, credo sia stato un insieme di più fattori. Da una parte il tempismo: una lunga crisi economica porta inevitabilmente le persone a chiedersi come possono cambiare la propria vita e ad avvicinarsi alle storie di chi l’ha fatto. Allo stesso tempo, di storie come la mia ce n’erano già in giro ma non ancora moltissime: avessi pubblicato il libro cinque anni dopo probabilmente sarei arrivato in ritardo, e mi sarei aggiunto alla moltitudine. Poi, la mia consolidata attitudine a guardarmi dentro, analizzarmi, farmi domande e trovare risposte. Infine, permettetemi di metterci anche una briciola di talento nel sapermi raccontare. Il risultato è stato un libro molto intimo, leggero da leggere ma “pesante” di significati.
Ha aiutato molto anche una vena di perfezionismo nell’affrontare il processo editoriale, sottovalutato da tantissimi autopubblicati. Se c’è altro, non saprei.
9. Sei un viaggiatore ed uno scrittore. Possiamo chiederti i tuoi libri di viaggio preferiti o che consiglieresti a chi oggi non può viaggiare, causa pandemia, se non sulle ali della fantasia?
Potrà sembrare strano, ma la narrativa di viaggio non è il mio genere preferito come lettura “di piacere”, ma ho apprezzato moltissimo “Nelle terre selvagge” (Krakauer), “Un indovino mi disse” (Terzani), e “Shantaram” (Roberts). Mi rendo conto che non è una selezione particolarmente originale, per cui mi sentirei di consigliare un po’ di autori nostrani: la bravissima Darinka Montico, per esempio. Oppure, se mi permettete un po’ di autopromozione, “Come acqua” di Roberto Chilosi: ne sono stato l’editore, e credo potrebbe essere una bella sorpresa: è un libro di viaggio un po’ atipico.
10. Tre città o luoghi che un nomade digitale dovrebbe vedere almeno una volta nella vita e perché.
Questa è facile:
- la città che ti piace
- il luogo che vuoi
- il posto dove hai sempre voluto andare
Il perché ormai credo sia ovvio: sei nomade digitale, cosa ti importa di dove andrebbe un Francesco Grandis a caso?
11. Una canzone che hai raccolto (o che ti ha accompagnato) durante un viaggio.
Born free, Kid Rock. È stata la colonna sonora del più bel viaggio della mia vita: i due mesi e mezzo in Scandinavia con la mia auto, la “Wil Mobile” (❤️).
Parcheggiare in riva a lati deserti, accendere il fuoco e cucinare, dormire in auto, vivere all’aperto, in totale e completa solitudine, e nonostante questo continuare a lavorare da remoto. E nei lunghi chilometri sulle strade deserte, accompagnato solo da foreste interminabili di pini, cantare Born Free a squarciagola. Ho i brividi solo a pensarci.
12. Nomadismo Digitale e famiglia sono spesso argomenti discussi nel gruppo. Diventare padre ha cambiato le tue abitudini di viaggio o nel modo in cui viaggi? E come hai vissuto il passaggio da una vita nomade ad una maggiormente stanziale?
Sì, non lo nego: quando altre persone entrano nel tuo “nucleo”, devi condividere anche i loro desideri e i loro limiti, e il nomadismo perenne finisce per essere difficile da mantenere. Va detto però che non mi ha mai interessato spostarmi continuamente: volevo solo essere libero di farlo quando e come volevo. Per certi versi questo non è cambiato: ci siamo fatti dei bellissimi giri in camper (l’ideale per una famiglia nomade), e persino un pezzo del cammino di Santiago.
Oggi sono arrivato in una casetta quasi perfetta, ho il mare fuori dalla mia finestra, il silenzio di cui ho bisogno, e le comodità necessarie per la vita confortevole della mia compagna e di mio figlio. Se domani volessimo spostarci, so che mi basterà prendere il portatile e sarò già pronto alla partenza.
13. Se la tua vita fosse un messaggio che dai al mondo, che messaggio sarebbe?
“Non sei felice? Cambia qualcosa fino a che non lo sarai.”
14. Sei felice?
No, ma sto cambiando qualcosa fino a che non lo sarò.
Non è una battuta: non considero la felicità come qualcosa che hai o non hai, o come fosse un interruttore che è acceso o spento. La felicità per me è un percorso, una direzione da seguire, una luce nel buio, una montagna da scalare. Non chiedermi se sono felice: chiedimi se sono più felice di quando ho cominciato: ti risponderei sì, assolutamente. La cima della montagna è più vicina, e non ho mai desiderato fare un solo passo indietro.
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